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Di fronte agli atti di "ultima generazione" esistono atteggiamenti diversi: chi li chiama "ecovandali", "delinquenti" o piu' semplicemente imbecilli, senza soffermarsi sulle ragioni che spingono l'attivismo per la salvaguardia del clima, e chi invece cerca di approfondire (con molta difficoltà per la verità) le ragioni delle loro gesta.

Questo si ripete sui media che non mancano mai di notare anche le rimostranze degli spettatori, ma si ripercuote anche sugli atti del governo che ha aumentato a dismisura le pene e le sanzioni.

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Il disegno di legge sulla sicurezza, approvato dalla Camera a fine settembre, contiene circa trenta tra nuovi reati, ampliamenti e aggravanti di reati. Tra i temi coinvolti emerge l’accanimento sui manifestanti: dall’aggravante di violenza e minacce in caso di danneggiamento di cose mobili e immobili durante le manifestazioni che si svolgono all’aperto – con multe fino a 15mila euro e reclusione da un anno e sei mesi – a quello di deturpamento e imbrattamento contro beni adibiti alle funzioni pubbliche al fine di “ledere l’onore, il prestigio o il de­coro dell’istituzione cui il bene appartiene”, con reclusione da sei mesi a un anno e mezzo e multe da mille a 3mila euro. E via così, fino all’inasprimento delle pene per resistenza a pubblico ufficiale e alle aggravanti per chi protesta per impedire un’opera pubblica strategica e per chi blocca strade e ferrovie, che rischia da sei mesi a due anni di carcere, con un’iniziativa che è stata subito ribattezzata “anti-Gandhi”, perché colpisce modalità non violente di esprimere dissenso.

Ci si chiede tuttavia se queste manifestazioni sortiscano o meno l'effetto desiderato! Negli obiettivi dovrebbero aumentare la consapevolezza e aprire il dibattito sullo stato del clima e del pianeta (non mancano peraltro uragani ed alluvioni a testimonianza del pericolo che corriamo  e i miliardi finora spesi per il ripristino del territorio e dei suoi abitanti), mentre aumenta invece l'insofferenza verso questi protagonismi che raccolgono pochi minuti di visualizzazione e dibattiti sui disagi (veri o presunti) che generano.

Allora forse occorre chiedersi se la strategia finora utilizzata da "ultima generazione" sia quella giusta, o se non sia anch'essa una forma di violenza nei confronti della collettività in quanto non condivisa nè partecipata (si vedono solo 10-15 persone e a volte anche meno).

Forse è il caso di entrare nelle viscere delle cellule democratiche del paese (associazioni, sezioni, partiti che siano) per raccogliere prima i livelli di interesse che alcune tematiche possono cogliere.

Non posso non citare Gene Sharp Dalla dittatura alla democrazia Come abbattere un regime Manuale di liberazione nonviolenta ed abbiamo la fortuna (per ora) di essere in una democrazia con una costituzione che sancisce 

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Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.