Negli ultimi anni, il sistema scolastico europeo sta affrontando una trasformazione silenziosa ma profonda: il drastico calo del numero di studenti. Un fenomeno che interessa in modo particolare l’Italia, ma che coinvolge anche Francia e Germania, seppure con intensità diverse. Alla base c’è una realtà demografica comune: meno nascite, più invecchiamento, più mobilità internazionale. E una possibile soluzione: integrare in modo efficace i bambini e ragazzi di origine immigrata.

Italia: un milione di studenti in meno entro il 2030

L’ISTAT ha tracciato una previsione allarmante: tra il 2015 e il 2030, il sistema scolastico italiano perderà circa 1 milione di studenti, passando da 8,5 a 7,5 milioni. Il calo è particolarmente evidente nella scuola primaria e nella secondaria di primo grado. Si tratta di un cambiamento epocale, che rischia di lasciare intere strutture scolastiche sottoutilizzate e ridurre l’offerta educativa in molte aree interne.

Le cause? La denatalità cronica, l’emigrazione di giovani famiglie all’estero e una scarsa capacità di attrarre nuovi residenti.

Francia: il calo è cominciato, ma con minore intensità

Anche la Francia inizia a vedere gli effetti della denatalità. Nel 2023, il Ministero dell’Éducation nationale ha registrato 95.000 studenti in meno rispetto all’anno precedente. Il trend è destinato a proseguire, anche se in maniera più contenuta rispetto all’Italia, grazie a una natalità storicamente più alta e a politiche familiari più incisive.

Germania: più stabile, ma il calo arriverà

La Germania, grazie all’immigrazione massiccia dal 2015 in poi, ha vissuto una temporanea stabilizzazione della popolazione scolastica. Tuttavia, le proiezioni parlano di un possibile calo di circa 500.000 studenti entro il 2030, soprattutto nei Länder orientali. La demografia interna non è sufficiente a mantenere l’equilibrio a lungo termine.

L’integrazione degli immigrati: da scelta politica a necessità strutturale

In questo contesto, l’integrazione scolastica e culturale degli alunni stranieri diventa non solo una questione etica e sociale, ma una vera e propria esigenza strutturale. Se l’Europa vuole mantenere vivo il suo sistema educativo, dovrà saper accogliere, formare e valorizzare le nuove generazioni di origine immigrata.

Questo significa:

  • Investire in programmi di accoglienza linguistica e culturale.
  • Garantire pari opportunità educative.
  • Favorire l’inclusione nelle comunità scolastiche.
  • Sostenere gli insegnanti nella formazione interculturale.

Non si tratta solo di numeri

Dietro ogni dato statistico ci sono scelte politiche, sociali ed economiche. Il calo degli studenti non è solo una questione di “aule vuote”: è un segnale del cambiamento profondo delle nostre società. Per affrontarlo con intelligenza e lungimiranza, serve una visione che metta l’integrazione e la coesione sociale al centro del dibattito pubblico.

Educare insieme, per costruire il futuro.

In Olanda esistono RISTORANTI POP-UP in cui vi è un lavoro volontario due giorni la settimana da parte degli studenti, per raccoglere fondi utili ad iniziative di quartiere. Ma sarebbe possibile fare la stessa iniziativa in Italia?

Aprire un ristorante temporaneo (tipo pop-up restaurant) in Italia e in Olanda (Paesi Bassi) comporta una serie di adempimenti che presentano alcune differenze, sia per la normativa nazionale, sia per l’approccio burocratico. Qui sotto ti faccio un confronto diretto delle principali differenze e similitudini.

1. Forma Giuridica e Registrazione

Italia

  • Devi aprire una partita IVA.
  • Iscrizione al Registro delle Imprese presso la Camera di Commercio.
  • Comunicazione di inizio attività (SCIA) al Comune.
  • Iscrizione all'INPS (previdenza) e INAIL (assicurazione contro infortuni).
  • Codice ATECO corretto (es. 56.10.11 per ristorazione con somministrazione).

Olanda

  • Registrazione alla Kamer van Koophandel (KvK), la Camera di Commercio olandese.
  • Ricevi un numero di BTW (IVA).
  • In genere, se attività temporanea e sotto un certo fatturato, puoi avere un regime semplificato.
  • Nessun obbligo di assicurazione pubblica contro infortuni (è privata).

2. Licenze e Autorizzazioni

Italia

  • SCIA per attività alimentare.
  • Autorizzazione sanitaria dell'ASL.
  • Permesso per l'occupazione del suolo pubblico (se in strada).
  • Eventuali licenze SIAE per musica.
  • Piano HACCP e tracciabilità alimentare.

Olanda

  • Licenza comunale (horecavergunning) per ristorazione.
  • Licenza per alcolici se venduti (drank- en horecavergunning).
  • Permesso temporaneo per food truck o eventi.
  • Sistema di controllo HACCP (seguono normativa UE, ma con semplificazioni).
  • A volte basta registrarsi per un evento se pop-up dura pochi giorni.

3. Requisiti Igienico-Sanitari

Italia

  • HACCP obbligatorio, anche per attività temporanee.
  • Controlli da parte dell'ASL.
  • Corsi obbligatori per alimentaristi.

Olanda

  • Sistema HACCP secondo norme UE, ma spesso più flessibile.
  • Registrazione presso l’NVWA (autorità per sicurezza alimentare).
  • Non sempre richiesto corso formale, ma responsabilità in capo al titolare.

4. Durata dell’attività

Italia

  • Anche un’attività temporanea deve adempiere a tutti gli obblighi come un ristorante fisso.
  • Alcuni comuni prevedono procedure semplificate per eventi/fiere/sagre.

Olanda

  • Maggiore flessibilità per attività sotto i 30 giorni o in eventi speciali.
  • Se sei straniero e stai “testando” il mercato, puoi operare sotto una forma freelance o temporanea, con meno burocrazia.

5. Fisco e Tassazione

Italia

  • Regime forfettario possibile se sotto i 100.000 € (semplificato).
  • Obbligo di registratore di cassa e scontrino elettronico.

Olanda

  • Sistema fiscale più snello: IVA trimestrale, possibilità di detrazioni semplici.
  • Nessun obbligo di registratore di cassa per piccoli volumi (dipende dalla città).

Per curiosità ho provato a ricercare i bilanci di Paypal per sapere quante tasse vengono pagate in Italia da questo colosso dei pagamenti online. Non ci sono riuscito. Trovare le dichiarazioni dei redditi o i bilanci delle società multinazionali operanti nel nostro paese è un lavoro non così facile come credevo (anche con l'aiuto dell'intelligenza Artificiale). Ma quanto eludono nel senso che attraverso consulenze prestiti ed altro spostano i profitti in Paesi dove la tassazione è molto piu' "benevola" rispetto al nostro. Magari scopriamo che la COCACOLA ha per anni presentato bilanci in negativo ed ha pagato meno tasse del panettiere sotto casa (sarà anche per questo che sta chiudendo?). Segnalo per chi avesse la curiosità di approfondire un ottimo sito https://missingprofits.world/ dove magari scopriremo che nel nostro paese il 18% delle entrate fiscali delle società vengono eluse e non grazie alle Bahamas ma al  Lussemburgo, Irlanda o Olanda. Fino a quando potremo permettercelo? E come non rilevare che a fronte dei ricatti di Trump non abbiamo armi a disposizione? Se l'Italia dovesse rinunciare alle esportazioni richiudendosi in un becero protezionismo non avremmo futuro! L'unica possibilità è che l'Europa diventi davvero una federazione e non un'accozzaglia di interessi fra loro in concorrenza.

I ricercatori dell'Università della California, Berkeley e dell'Università di Copenhagen stimano che circa il 40% dei profitti multinazionali (circa 1 trilione di $ nel 2019) venga trasferito ogni anno nei paradisi fiscali. Questo spostamento riduce le entrate fiscali delle società di oltre 200 miliardi di $, ovvero il 10% delle entrate fiscali globali delle società.

Esplora la mappa per vedere quanti profitti e entrate fiscali perde (o attrae) il tuo paese in questo gioco per profitti. I paradisi fiscali possono essere difficili da trovare, ma puoi ingrandire premendo il pulsante a schermo intero.

Questa ricerca è stata pubblicata dalla Review of Economic Studies nel 2022.

Informazioni sulla ricerca

I ricercatori dell'Università della California, Berkeley e dell'Università di Copenhagen hanno prodotto un database che mostra dove le aziende contabilizzano i loro profitti a livello globale. Sfruttando questi dati, gli autori sviluppano una metodologia per stimare la quantità di profitti trasferiti nei paradisi fiscali dalle aziende multinazionali e quanto ogni paese perde in profitti e entrate fiscali da tale trasferimento. A livello globale, le aziende multinazionali hanno trasferito quasi 1 trilione di $ di profitti nei paradisi fiscali nel 2019 e questo trasferimento ha ridotto le entrate fiscali aziendali globali del 10%.

Le aziende multinazionali spostano i profitti nei paradisi fiscali per ridurre le loro imposte globali. Prendiamo l'esempio di Google: nel 2017, Google Alphabet ha dichiarato 23 miliardi di dollari di fatturato alle Bermuda, una piccola isola nell'Atlantico dove l'aliquota dell'imposta sul reddito delle società è pari a zero. A livello globale, più di 900 miliardi di dollari di profitti vengono spostati in tali paradisi fiscali dalle multinazionali di tutti i paesi.

Puoi esplorare la mappa per vedere quali paesi attraggono e perdono profitti in questo gioco delle tre carte. La mappa copre 86 paesi che costituiscono il 92% dell'attività economica globale e oltre il 70% della popolazione mondiale. Cliccando su ogni paese puoi vedere la quantità di profitti trasferiti nei paradisi fiscali e in quali paradisi sono stati trasferiti. Puoi anche vedere la perdita implicita di entrate fiscali dalle società. Alcuni paesi sono contrassegnati in verde; questi sono paradisi fiscali. Per i paradisi fiscali riportiamo quanti profitti attraggono dai paesi ad alta tassazione e qual è l'aliquota effettiva dell'imposta sul reddito delle società.

La perdita di profitto è più elevata per i paesi dell'Unione Europea (non-rifugio). Le multinazionali statunitensi spostano relativamente più profitti (circa il 60% dei loro profitti esteri) rispetto alle multinazionali di altri paesi (il 40% per il mondo in media). Gli azionisti delle multinazionali statunitensi sembrano quindi essere i principali vincitori dello spostamento globale dei profitti. Inoltre, i governi dei paradisi fiscali traggono notevoli benefici da questo fenomeno: tassando la grande quantità di profitti cartacei che attraggono a aliquote basse (meno del 5%), sono in grado di generare più entrate fiscali, come una frazione del loro reddito nazionale, rispetto agli Stati Uniti e ai paesi europei non-rifugio che hanno aliquote fiscali molto più elevate.

Fino a poco tempo fa, questa ricerca non sarebbe stata possibile, perché le aziende di solito non divulgano pubblicamente i paesi in cui vengono contabilizzati i loro profitti e i dati dei conti nazionali non rendevano possibile studiare le multinazionali separatamente dalle altre aziende. Ma negli ultimi anni, gli istituti statistici della maggior parte dei paesi sviluppati del mondo (inclusi i principali paradisi fiscali) hanno iniziato a pubblicare nuovi dati macroeconomici noti come statistiche sulle affiliate estere. Questi dati consentono di ottenere una visione completa di dove le multinazionali contabilizzano i loro profitti e in particolare di stimare l'importo dei profitti contabilizzati nei paradisi fiscali a livello globale. Per approfondire la nostra comprensione di questo problema, abbiamo bisogno di dati più numerosi e migliori. In particolare, sarebbe auspicabile che tutti i paesi pubblicassero statistiche sulle affiliate estere e che queste statistiche fossero estese per includere sempre informazioni sulle tasse pagate.

Questa ricerca è stata pubblicata dalla Review of Economic Studies nel 2022, ma viene costantemente aggiornata dagli autori man mano che arrivano nuovi dati. Come ulteriore edizione, Wier e Zucman hanno creato una cronologia storica dello spostamento degli utili fino al 1975 nell'aggiornamento del 2019.

Una guerra che ha causato non solo morti ma danni incalcolabili all'ambiente

La distruzione della diga di Kakhovka, avvenuta il 6 giugno 2023, ha avuto un impatto ambientale devastante su una vasta area dell'Ucraina meridionale. Ecco alcuni dei principali danni ambientali causati dal disastro:

1. Inondazioni e distruzione degli ecosistemi fluviali

  • Il crollo della diga ha causato un'improvvisa ondata d'acqua che ha sommerso ampie aree lungo il fiume Dnipro, distruggendo habitat naturali e alterando gli ecosistemi fluviali.
  • Le inondazioni hanno danneggiato le zone umide, fondamentali per la biodiversità locale.

2. Contaminazione dell'acqua

  • Il rilascio incontrollato dell’acqua ha trascinato con sé rifiuti tossici, prodotti chimici agricoli e materiali industriali dalle zone alluvionate.
  • L’inquinamento ha colpito la qualità dell’acqua potabile, mettendo a rischio la salute delle popolazioni locali e della fauna selvatica.

3. Perdita di un'importante riserva d'acqua

  • Il bacino idrico di Kakhovka era una fonte chiave di acqua per la Crimea, l'Ucraina meridionale e le centrali nucleari, come la centrale di Zaporizhzhia, che dipendeva da esso per il raffreddamento.
  • La perdita del bacino ha aggravato la crisi idrica della regione e minacciato la sicurezza dell’approvvigionamento idrico per milioni di persone.

4. Rischi per la biodiversità

  • La fauna ittica ha subito perdite ingenti a causa del rapido prosciugamento del bacino e dell’inquinamento.
  • Gli habitat di molte specie di uccelli acquatici e mammiferi sono stati distrutti o gravemente compromessi.

5. Impatti sull'agricoltura e sulla sicurezza alimentare

  • L’acqua della diga veniva usata per irrigare vaste aree agricole nell'Ucraina meridionale.
  • Il crollo ha reso inutilizzabili molti campi coltivati, mettendo a rischio i raccolti e la produzione alimentare.

6. Possibili conseguenze a lungo termine

  • L’alterazione degli ecosistemi potrebbe portare a fenomeni di desertificazione in alcune aree.
  • La contaminazione del suolo e dell’acqua potrebbe avere effetti a lungo termine sulla salute umana e sulla fauna selvatica.

Il disastro della diga di Kakhovka è quindi una catastrofe ecologica con conseguenze che potrebbero durare per decenni.

L'Unione Europea si trova in una posizione geopolitica complessa, caratterizzata da debolezze strutturali e politiche che ne limitano l'efficacia come attore militare indipendente. Uno dei problemi principali è la necessità dell'unanimità nelle decisioni di politica estera e difesa, che spesso paralizza qualsiasi tentativo di azione rapida ed efficace. Gli Stati membri hanno visioni divergenti sulla politica di sicurezza: mentre i paesi dell’Europa orientale vedono la Russia come una minaccia esistenziale e chiedono una linea dura, altri, come Germania e Francia, sono più inclini al compromesso.

A queste difficoltà politiche si aggiunge una mancanza di infrastrutture militari comuni: l'UE non dispone di un comando centrale per la difesa, le forze armate dei vari Stati membri sono frammentate e non esiste una produzione standardizzata di armamenti. Inoltre, le capacità produttive dell’industria militare europea sono limitate: la produzione di munizioni, missili e veicoli militari è insufficiente per sostenere un conflitto prolungato senza il supporto degli Stati Uniti. Il settore industriale della difesa è caratterizzato da eccessiva frammentazione e competizione tra aziende nazionali, il che porta a inefficienze e a un’integrazione limitata tra le forze armate europee.

Questi limiti rendono difficile per l'Europa gestire autonomamente una crisi militare senza l'intervento degli Stati Uniti e ostacolano qualsiasi tentativo di autonomia strategica.

Le Debolezze Strutturali della Difesa Europea e la Proposta di von der Leyen

Negli ultimi giorni, l'Unione Europea ha annunciato un ambizioso piano da 800 miliardi di euro per la difesa (peraltro non sarebbero euro-bond a quanto pare ma debiti autonomi di ogni stato), un'iniziativa che dovrebbe rafforzare la capacità militare del continente e ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti. Tuttavia, l'annuncio della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen è apparso affrettato e privo di una strategia chiara. Mentre l'UE cerca di rafforzare le proprie difese, si trova ad affrontare difficoltà strutturali che rendono il progetto più un desiderio che una realtà immediata. In questo contesto, diventa essenziale trovare una tregua nel conflitto ucraino per guadagnare tempo e consolidare un vero esercito europeo.

Nonostante l'entità dell'annuncio, l'UE non ha ancora un esercito unificato, né un sistema di comando e controllo integrato. Le forze armate europee rimangono frammentate, con standard diversi e una mancanza di coordinamento nelle forniture militari. La produzione di armi e munizioni, come evidenziato dal conflitto in Ucraina, è insufficiente per sostenere operazioni su larga scala senza l'apporto statunitense. Inoltre, le industrie della difesa europee non sono sincronizzate tra loro e spesso competono invece di collaborare. Questo porta a inefficienze e ritardi che rendono difficile l'attuazione del piano di von der Leyen nei tempi necessari.

Un altro grande ostacolo è la dipendenza dall'unanimità nelle decisioni di politica estera e difesa. Alcuni Stati membri, come l'Ungheria, hanno mostrato reticenza nel seguire la linea dura contro la Russia, mentre altri, come Polonia e Stati Baltici, temono che qualsiasi compromesso possa mettere in pericolo la loro sicurezza. Questa mancanza di unità impedisce all'UE di agire con la rapidità e la determinazione necessarie in un contesto geopolitico così instabile.

L'Opzione dell'Ombrello Nucleare Europeo

In parallelo al piano di riarmo, il presidente francese Emmanuel Macron ha recentemente riaperto il dibattito sulla possibilità di estendere la deterrenza nucleare francese a livello europeo. La Francia è l'unico paese dell'UE dotato di un arsenale nucleare indipendente, e un “ombrello atomico europeo” potrebbe rappresentare un passo importante verso una maggiore autonomia strategica. Tuttavia, questa proposta incontra resistenze significative: molti paesi europei si affidano alla deterrenza nucleare statunitense attraverso la NATO e potrebbero vedere con sospetto un'iniziativa franco-centrica.

L'idea di Macron, sebbene teoricamente valida, si scontra con le stesse problematiche che affliggono il progetto di difesa comune: la mancanza di un comando unitario, divergenze politiche tra i paesi membri e un'industria della difesa ancora troppo disomogenea. Inoltre, alcuni Stati, come la Germania, potrebbero esitare a sostenere una simile iniziativa per motivi storici e politici.

La Necessità di una Tregua con la Russia e una Visione di Futuro

Di fronte a queste difficoltà, la soluzione più pragmatica per l'UE potrebbe essere quella di lavorare per una tregua nel conflitto ucraino. Questo permetterebbe di guadagnare tempo per rafforzare le proprie capacità militari e ridurre le tensioni economiche e sociali interne. Tuttavia, la diplomazia europea si trova in una posizione complicata, dato che Washington e molti Paesi dell'Est Europa vedono la guerra come un'opportunità per indebolire la Russia sul lungo termine.

Una tregua, per essere efficace, dovrebbe essere negoziata senza concessioni territoriali alla Russia, ma al tempo stesso senza porre condizioni irrealistiche per Mosca, come un ritiro immediato senza garanzie. In questo scenario, l'UE potrebbe giocare un ruolo centrale nel trovare un equilibrio tra il sostegno a Kiev e la necessità di fermare l'escalation del conflitto.

Tuttavia, in un mondo ideale, la Russia stessa dovrebbe essere parte dell'Occidente, non un suo avversario. L'Europa e la Russia condividono una storia culturale ed economica profondamente intrecciata. In un futuro più stabile, una Russia democratica e integrata nel sistema economico e di sicurezza europeo potrebbe rappresentare un pilastro per la stabilità globale. Se le attuali tensioni fossero risolte con un accordo che garantisca la sicurezza reciproca, si potrebbe aprire la strada a una cooperazione economica e strategica che includa Mosca all'interno di una visione più ampia dell'Occidente.

L'Unione Europea si trova in un momento cruciale. Il piano di riarmo annunciato da von der Leyen, sebbene ambizioso, appare privo di una strategia concreta e rischia di rivelarsi più un'operazione politica che una vera soluzione alle debolezze europee. La proposta di Macron sull’ombrello nucleare europeo potrebbe rappresentare una svolta, ma al momento rimane una visione ancora difficile da attuare.

Nel frattempo, la guerra in Ucraina continua a destabilizzare il continente, e una tregua potrebbe essere l’unica opzione realistica per guadagnare tempo e rafforzare la difesa comune. Inoltre, l'integrazione della Turchia nel sistema militare europeo potrebbe fornire un ulteriore pilastro per la sicurezza continentale. Ma, in un orizzonte più lontano, un'Europa che includa anche la Russia in un sistema di sicurezza condiviso potrebbe rappresentare la vera garanzia di pace duratura. 

Con l’eventualità che gli Stati Uniti riducano o interrompano il loro supporto militare all’Ucraina, l’Europa si trova di fronte a un bivio strategico. Diverse alternative potrebbero essere valutate, ma tutte presentano sfide e rischi significativi. Vediamo le possibili opzioni e perché, nonostante tutto, un accordo con gli USA rimane la soluzione più solida per ora.

1. Prendere il controllo del sostegno militare all’Ucraina

L’Europa potrebbe decidere di intensificare il proprio supporto bellico a Kiev, sostituendosi agli USA. Questo implicherebbe:

  • Aumento della produzione di armi
  • Fornitura diretta di sistemi avanzati di difesa
  • Maggior coinvolgimento della NATO in termini logistici e strategici

Sfide: L’industria bellica europea non è attrezzata per sostenere a lungo termine un conflitto di questa portata senza il supporto logistico e tecnologico statunitense. Inoltre, alcuni Paesi europei potrebbero opporsi a un maggiore coinvolgimento.

2. Cercare un accordo diplomatico con la Russia

Un’altra opzione sarebbe cercare un cessate il fuoco e avviare trattative con Mosca, spingendo l’Ucraina a negoziare.

Sfide: La Russia potrebbe approfittare della situazione per consolidare i territori occupati e prepararsi per future aggressioni. Inoltre, l’Europa rischierebbe di perdere credibilità agli occhi degli alleati NATO.

3. Creare un esercito europeo più autonomo

L’Europa potrebbe usare questa crisi come opportunità per rafforzare la propria capacità militare e ridurre la dipendenza dagli USA.

Sfide: Questo processo richiederebbe anni, ingenti risorse e un consenso politico che oggi appare lontano. Inoltre, molti Paesi europei vedono la NATO come pilastro della sicurezza, rendendo difficile un cambiamento radicale.

4. Sanzionare Cina, India e Iran per il loro sostegno alla Russia

Se l’Europa volesse esercitare pressione sulla Russia in modo indiretto, potrebbe decidere di sanzionare Cina, India e Iran, che forniscono a Mosca materiali critici per la guerra.

  • Sanzioni alla Cina: Danneggerebbero il commercio europeo e potrebbero scatenare ritorsioni economiche (limitazioni su terre rare, batterie, tecnologia).
  • Sanzioni all’India: Potrebbero ridurre il flusso di petrolio russo, ma rischierebbero di spingere Nuova Delhi verso un’alleanza più stretta con Mosca e Pechino.
  • Sanzioni all’Iran: Avrebbero un impatto limitato, dato che Teheran è già pesantemente sanzionato.

Sfide: Le sanzioni potrebbero spingere questi Paesi a stringere legami ancora più forti con la Russia, rendendo il conflitto più difficile da risolvere.

Perché l’accordo con gli USA è l’unica vera alternativa per ora

Nonostante le criticità, gli Stati Uniti restano il principale garante della sicurezza europea. Un disimpegno di Washington indebolirebbe l’intero fronte occidentale, mettendo a rischio la stabilità della NATO e la credibilità delle democrazie occidentali.

L’Europa, pur cercando di rafforzare la propria indipendenza strategica, non può permettersi di perdere il sostegno americano, soprattutto mentre la Russia mantiene una posizione aggressiva. La priorità deve quindi essere negoziare con gli Stati Uniti per mantenere il supporto all’Ucraina, coinvolgendo anche il Congresso e l’opinione pubblica americana per evitare un ritiro prematuro.

Conclusione

Le alternative esistono, ma ognuna presenta sfide che l’Europa, nel breve termine, potrebbe non essere in grado di superare da sola. Per ora, la cooperazione con gli USA resta l’unica vera opzione per garantire la sicurezza dell’Ucraina e dell’Europa stessa. Un maggiore coordinamento transatlantico sarà fondamentale per impedire alla Russia di ottenere una vittoria strategica che potrebbe destabilizzare l’intero continente.

In tutte le regioni si è registrato un aumento dei ricavi da armamenti, con aumenti particolarmente marcati tra le aziende con sede in Russia e Medio Oriente. Nel complesso, i produttori più piccoli sono stati più efficienti nel rispondere alla nuova domanda legata alle guerre a Gaza e in Ucraina, alle crescenti tensioni in Asia orientale e ai programmi di riarmo altrove.

Nel 2023 molti produttori di armi hanno aumentato la produzione in risposta all'aumento della domanda. I ricavi totali degli armamenti della Top 100 sono rimbalzati dopo un calo nel 2022. Quasi tre quarti delle aziende hanno aumentato i loro ricavi da armi rispetto all'anno precedente. In particolare, la maggior parte delle aziende che hanno aumentato i propri ricavi si trovavano nella metà inferiore della Top 100.

"Nel 2023 c'è stato un netto aumento delle entrate in materia di armamenti, che probabilmente continuerà nel 2024", ha dichiarato Lorenzo Scarazzato, ricercatore del Programma per le spese militari e la produzione di armi del SIPRI. "I ricavi degli armamenti dei primi 100 produttori di armi non riflettono ancora pienamente l'entità della domanda e molte aziende hanno lanciato campagne di reclutamento, suggerendo di essere ottimiste sulle vendite future".

Nel periodo 2019-2023, i principali esportatori di armi a livello mondiale sono stati:​

PosizionePaeseQuota sull'export globale
1 Stati Uniti 42%
2 Francia 11%
3 Russia 11%
4 Cina 5,8%
5 Germania 4,2%
6 Italia 4,3%

Questi sei Paesi rappresentano complessivamente il 78% del volume totale delle esportazioni di armi nel mondo. ​

È importante notare che, rispetto al periodo 2014-2018, le esportazioni di Stati Uniti e Francia sono aumentate, mentre quelle di Russia, Cina e Germania hanno registrato una diminuzione. ​

In particolare, le esportazioni italiane di armi hanno rappresentato il 4,3% del totale globale nel periodo 2019-2023, con una crescita significativa rispetto al quinquennio precedente. ​

E' facile identificare i maggiori beneficiari di un aumento delle spese militari nei paesi NATO.

L'Europa non sarebbe quindi in grado di fornire (da sola e per ora), le armi necessarie per la difesa ucraina. 

I ricavi delle aziende statunitensi dal settore degli armamenti aumentano, ma permangono sfide produttive

Le 41 aziende della Top 100 con sede negli Stati Uniti hanno registrato ricavi da armi per 317 miliardi di dollari, la metà dei ricavi totali da armi delle prime 100 e il 2,5% in più rispetto al 2022. Dal 2018, le prime cinque aziende della Top 100 hanno tutte sede negli Stati Uniti.

Delle 41 aziende statunitensi, 30 hanno aumentato i loro ricavi da armi nel 2023. Tuttavia, Lockheed Martin e RTX, i due maggiori produttori di armi al mondo, sono stati tra quelli che hanno registrato un calo.

"Le aziende più grandi come Lockheed Martin e RTX che producono un'ampia gamma di prodotti bellici spesso dipendono da catene di approvvigionamento complesse e a più livelli, il che le ha rese vulnerabili alle persistenti sfide della catena di approvvigionamento nel 2023", ha affermato il dottor Nan Tian, direttore del programma di spesa militare e produzione di armi del SIPRI. "Questo è stato particolarmente vero nei settori aeronautico e missilistico".

L'industria europea degli armamenti segue il resto del mondo nella crescita dei ricavi

I ricavi combinati degli armamenti delle 27 prime 100 aziende con sede in Europa (esclusa la Russia) sono stati pari a 133 miliardi di dollari nel 2023. Si tratta solo dello 0,2% in più rispetto al 2022, l'aumento più piccolo in qualsiasi regione del mondo.

Tuttavia, dietro il dato di bassa crescita il quadro è più sfumato. Nel 2023 le aziende europee produttrici di armamenti complessi hanno lavorato per lo più su contratti più vecchi e di conseguenza i loro ricavi dell'anno non riflettono l'afflusso di ordini.

"I sistemi d'arma complessi hanno tempi di consegna più lunghi", ha affermato Lorenzo Scarazzato. "Le aziende che li producono sono quindi intrinsecamente più lente a reagire ai cambiamenti della domanda. Questo spiega perché i loro ricavi da armi sono stati relativamente bassi nel 2023, nonostante un'impennata di nuovi ordini".

Allo stesso tempo, una serie di altri produttori europei ha visto crescere notevolmente i propri ricavi derivanti dagli armamenti, trainati dalla domanda legata alla guerra in Ucraina, in particolare per le munizioni, l'artiglieria, la difesa aerea e i sistemi terrestri. In particolare, le aziende in Germania, Svezia, Ucraina, Polonia, Norvegia e Cechia sono state in grado di attingere a questa domanda. Ad esempio, la tedesca Rheinmetall ha aumentato la capacità produttiva di munizioni da 155 mm e i suoi ricavi sono stati incrementati dalle consegne dei suoi carri armati Leopard e dai nuovi ordini, anche attraverso programmi di "ring-exchange" legati alla guerra (in base ai quali i paesi forniscono beni militari all'Ucraina e ricevono sostituzioni dagli alleati).

La produzione bellica porta a un forte aumento dei ricavi delle aziende russe dagli armamenti

Le due società russe inserite nella Top 100 hanno visto i loro ricavi combinati aumentare del 40% per raggiungere una stima di 25,5 miliardi di dollari. Ciò è dovuto quasi interamente all'aumento del 49% dei ricavi da armi registrato da Rostec, una holding statale che controlla molti produttori di armi, tra cui sette precedentemente elencati nella Top 100 per i quali non è stato possibile ottenere dati sui ricavi individuali.

"I dati ufficiali sulla produzione di armi russe sono scarsi e discutibili, ma la maggior parte degli analisti ritiene che la produzione di nuove attrezzature militari sia aumentata notevolmente nel 2023, mentre l'arsenale esistente della Russia ha subito un'ampia ristrutturazione e modernizzazione", ha affermato il dottor Nan Tian. "In particolare, si ritiene che aerei da combattimento, elicotteri, UAV, carri armati, munizioni e missili siano stati prodotti in numero maggiore mentre la Russia continuava la sua offensiva in Ucraina".

Le aziende sudcoreane e giapponesi guidano la crescita dei ricavi in Asia e Oceania

Le 23 aziende della Top 100 con sede in Asia e Oceania hanno registrato una crescita del 5,7% del fatturato degli armamenti anno su anno, raggiungendo i 136 miliardi di dollari. Le quattro società con sede in Corea del Sud hanno registrato un aumento combinato del 39% dei ricavi dagli armamenti, raggiungendo gli 11,0 miliardi di dollari. Le cinque società con sede in Giappone hanno visto i loro ricavi combinati di armi aumentare del 35% a 10,0 miliardi di dollari. Una politica di rafforzamento militare in Giappone dal 2022 ha portato a una raffica di ordini interni, con alcune aziende che hanno visto il valore dei nuovi ordini aumentare di oltre il 300%.

"La forte crescita dei ricavi degli armamenti tra le aziende sudcoreane e giapponesi riflette il quadro più ampio degli accumuli militari che si stanno verificando nella regione in risposta all'accresciuta percezione della minaccia", ha affermato Xiao Liang, ricercatore del SIPRI Military Expenditure and Arms Production Programme. "Le aziende sudcoreane stanno anche cercando di espandere la loro quota del mercato globale delle armi, compresa la domanda in Europa legata alla guerra in Ucraina".

I produttori di armi del Medio Oriente vedono una crescita dei ricavi legata ai conflitti tra Gaza e Ucraina

Sei delle prime 100 aziende produttrici di armi avevano sede in Medio Oriente. I loro ricavi combinati sono cresciuti del 18% a 19,6 miliardi di dollari. Con lo scoppio della guerra a Gaza, i ricavi degli armamenti delle tre aziende con sede in Israele nella Top 100 hanno raggiunto i 13,6 miliardi di dollari. Questa è stata la cifra più alta mai registrata dalle aziende israeliane nella Top 100 del SIPRI. Le tre società con sede in Turchia hanno visto i loro ricavi da armi crescere del 24% a 6,0 miliardi di dollari, beneficiando delle esportazioni provocate dalla guerra in Ucraina e della continua spinta del governo turco verso l'autosufficienza nella produzione di armi.

"I maggiori produttori di armi del Medio Oriente nella Top 100 hanno visto i loro ricavi da armi raggiungere livelli senza precedenti nel 2023 e la crescita sembra destinata a continuare", ha dichiarato il dottor Diego Lopes da Silva, ricercatore senior presso il programma di spesa militare e produzione di armi del SIPRI. "In particolare, oltre a incassare entrate record dal mercato degli armamenti nel 2023, i produttori di armi israeliani stanno registrando molti più ordini mentre la guerra a Gaza infuria e si diffonde".

Altri sviluppi degni di nota

  • Le nove aziende della Top 100 con sede in Cina hanno registrato il più piccolo aumento percentuale su base annua dei ricavi da armi (+0,7%) dal 2019, a causa di un'economia in rallentamento. Le loro entrate totali da armi nel 2023 hanno raggiunto i 103 miliardi di dollari.
  • I ricavi combinati degli armamenti delle tre società indiane nella Top 100 sono aumentati a 6,7 miliardi di dollari (+5,8%).
  • NCSIST, l'unica società con sede a Taiwan nella Top 100, ha registrato un aumento del 27% dei suoi ricavi da armi a 3,2 miliardi di dollari.
  • La turca Baykar produce veicoli aerei armati senza equipaggio (UAV) che sono stati ampiamente utilizzati nella guerra in Ucraina. Le esportazioni hanno rappresentato circa il 90% dei suoi ricavi da armi nel 2023, che sono aumentati del 25% nel corso dell'anno a 1,9 miliardi di dollari.
  • L'Atomic Weapons Establishment del Regno Unito, che progetta, produce e mantiene testate nucleari, ha registrato il più grande aumento percentuale anno su anno dei ricavi degli armamenti (+16%) tra le aziende britanniche nella Top 100, raggiungendo i 2,2 miliardi di dollari.

Il database dell'industria degli armamenti SIPRI è stato creato nel 1989. A quel tempo, escludeva i dati per le aziende in Cina, Unione Sovietica e paesi dell'Europa orientale. La versione attuale contiene i dati per il periodo 2002-23, compresi i dati per le aziende in Russia. Le aziende cinesi sono incluse dal 2015 in poi.

I "ricavi degli armamenti" si riferiscono ai ricavi generati dalla vendita di beni e servizi militari a clienti militari a livello nazionale e all'estero. Se non diversamente specificato, tutte le variazioni sono espresse in termini reali e tutte le cifre sono espresse in dollari USA costanti 2023. I confronti tra il 2022 e il 2023 si basano sull'elenco delle aziende nella classifica per il 2023 (ovvero il confronto annuale è tra lo stesso insieme di aziende). I confronti a più lungo termine si basano sugli insiemi di società quotate nell'anno in questione (ossia il confronto avviene tra un diverso insieme di società).

Il database dell'industria degli armamenti SIPRI, che presenta una serie di dati più dettagliati per gli anni 2002-23, è disponibile sul sito web del SIPRI all'indirizzo <https://www.sipri.org/databases/armsindustry>.

Questo è il primo di tre importanti lanci di dati in vista del rilascio della pubblicazione di punta del SIPRI a metà del 2025, l'annuale Annuario SIPRI. Prima di ciò, il SIPRI pubblicherà suoi dati sui trasferimenti internazionali di armi (dettagli di tutti i trasferimenti internazionali di armi importanti nel 2024) e i suoi dati sulla spesa militare mondiale (informazioni complete sulle tendenze globali, regionali e nazionali della spesa militare nel 2024).

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