La storia umana sembra essere intrappolata in un ciclo inquietante di violenza, giustificazioni ideologiche e distruzione. L’eco del genocidio descritto nel libro di Giosuè, con la distruzione totale di Gerico e il suo popolo, risuona tragicamente nei giorni nostri, osservando la devastazione di Gaza. Le analogie tra questi due episodi, distanti migliaia di anni, sollevano questioni morali e politiche difficili da ignorare.
Gerico: un genocidio "divinamente giustificato"
Secondo la narrazione biblica, il popolo d’Israele, guidato da Giosuè, distrusse Gerico su ordine diretto di Dio. Tutti gli abitanti furono uccisi – uomini, donne, bambini e persino animali – come atto di “purificazione” della Terra Promessa. Il genocidio non fu solo una conquista militare, ma un’azione simbolica, un atto che rivendicava un mandato divino per sterminare chiunque occupasse la terra destinata agli Israeliti.
Questo racconto, sebbene spesso interpretato come mito o allegoria religiosa, offre un modello inquietante di giustificazione della violenza: la convinzione che un popolo abbia diritto a un territorio e che la distruzione di chi vi risiede sia non solo legittima, ma necessaria.
Gaza: una nuova Gerico?
La situazione a Gaza riflette un’altra forma di “purificazione”, questa volta non dichiarata come divina, ma comunque sostenuta da narrative giustificatrici. Israele, con le sue operazioni militari ricorrenti, ha devastato la Striscia di Gaza, colpendo infrastrutture civili, scuole, ospedali e abitazioni. Il numero impressionante di vittime civili – inclusi bambini – e la distruzione sistematica della vita quotidiana sembrano non essere semplici danni collaterali, ma il risultato di una politica mirata a rendere Gaza ingovernabile e insostenibile per i suoi abitanti.
Come Gerico, anche Gaza è simbolo di un conflitto asimmetrico, in cui una parte dominante esercita un potere travolgente, mentre l’altra viene schiacciata sotto il peso della sua impotenza. Se nel racconto biblico i Cananei furono sterminati perché percepiti come ostacolo al “disegno divino”, oggi i Palestinesi di Gaza vengono trattati come una minaccia esistenziale che Israele ritiene di dover contenere o eliminare. Lasciamo perdere per un momento le forti responsabilità dei palestinesi che hanno eletto hamas rappresentanti del loro popolo (peraltro alla ricerca continua di sangue del proprio popolo da esibire al mondo per ottenere una solidarietà davvero impensabile)
Giustificazioni ideologiche e morali
La giustificazione della distruzione di Gerico era basata sull’idea che Dio avesse destinato quella terra a un popolo specifico. Questa narrativa di esclusività si riflette nel moderno discorso sionista che vede la terra di Israele come un’eredità storica e religiosa da reclamare a ogni costo. In entrambi i casi, le sofferenze dei popoli colpiti – i Cananei allora, i Palestinesi oggi – vengono ridotte a dettagli secondari, sacrificati sull’altare di un “destino superiore”.
Anche il linguaggio usato per giustificare le azioni moderne richiama quello antico: sicurezza nazionale, autodifesa e lotta contro il terrorismo sono oggi gli equivalenti delle motivazioni religiose di ieri. Entrambi i discorsi, però, ignorano sistematicamente la disumanizzazione delle vittime, trasformandole in nemici astratti privi di volto.
Impatto sulle vittime: ieri e oggi
Se i Cananei furono spazzati via senza alcuna possibilità di riscatto, i Palestinesi di Gaza subiscono un destino simile sotto forme diverse: blocco economico, limitazioni alla libertà di movimento, distruzione delle infrastrutture e bombardamenti periodici. La loro condizione viene giustificata come “inevitabile”, un prezzo da pagare per la sicurezza di Israele, proprio come la distruzione di Gerico fu dipinta come necessaria per garantire il futuro del popolo d’Israele.
In entrambi i casi, il messaggio è chiaro: chi si trova dalla parte sbagliata del potere è sacrificabile. Le loro vite, la loro cultura e il loro futuro possono essere cancellati senza rimorso.
Trump e la "Riviera del Medio Oriente": il paradosso finale
Come se la tragedia di Gaza non fosse già abbastanza surreale, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha recentemente proposto una “soluzione” al conflitto che sembra uscita direttamente da un reality show distopico: trasformare Gaza in una Riviera di lusso. Secondo questa visione, la Striscia di Gaza, ridotta in macerie e devastata da anni di conflitto, potrebbe diventare un paradiso turistico, pieno di hotel, casinò e resort di lusso.
Il piano ignora completamente la realtà: Gaza è una prigione a cielo aperto, dove le infrastrutture sono state sistematicamente distrutte e la popolazione vive in condizioni disumane. Proporre un modello di “Dubai sul Mediterraneo” senza affrontare le questioni fondamentali dell’occupazione, della giustizia e della sovranità palestinese è non solo irrealistico, ma offensivo.
La proposta di Trump è l’ennesima dimostrazione di come la sofferenza dei Palestinesi venga trattata con superficialità. Invece di lavorare per una soluzione giusta e sostenibile, si offre una fantasia capitalistica che ignora la storia, la cultura e la dignità di un popolo oppresso.
Lezione dalla storia o ripetizione della tragedia?
La narrazione biblica di Gerico dovrebbe essere vista come una lezione morale su cosa accade quando la violenza viene giustificata in nome di un’autorità superiore. Invece, sembra che sia stata presa come un modello operativo. L’idea che un popolo abbia il diritto di sterminare o opprimere un altro per motivi religiosi, storici o politici continua a essere una costante nella storia umana.
La distruzione di Gaza è l’esempio più recente di come questo schema si ripeta. Sebbene i tempi siano cambiati, la logica rimane sorprendentemente simile: la convinzione che un popolo abbia più diritto di un altro a vivere in una determinata terra e che la violenza possa essere legittimata per garantire questo diritto.
Conclusione
Le similitudini tra il genocidio di Gerico e la distruzione di Gaza non possono essere ignorate. Entrambi rappresentano un’erosione della dignità umana e una giustificazione della violenza sistematica. Ma forse c’è una differenza importante: oggi abbiamo la possibilità di imparare dalla storia, di riconoscere le dinamiche oppressive e di opporci a esse. Continuare a ignorare il ciclo di violenza significa non solo tradire le lezioni del passato, ma anche perpetuare un futuro di sofferenza e distruzione.
L’umanità deve decidere: vogliamo davvero ripetere la storia di Gerico o abbiamo la forza morale per scegliere un percorso diverso?
Gerico e Gaza: Storia che si ripete o tragica ironia?
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