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Nell’universo fiabesco e apparentemente innocuo dei fumetti Disney, si cela una rappresentazione ideologica che merita una lettura più attenta. Paperon de’ Paperoni – lo zio d’America per eccellenza, arricchito fino all’inverosimile, burbero e conservatore – è più che un personaggio da intrattenimento: è l’incarnazione fumettistica di un modello economico e sociale profondamente radicato nell’immaginario americano. E se c’è una figura politica che oggi sembra impersonare lo spirito di Paperone, questa è Donald J. Trump.

L’ex presidente USA, imprenditore miliardario, showman e paladino del nazionalismo economico, ha costruito la sua narrazione pubblica proprio sulla retorica del successo personale, dell’autosufficienza e della ricchezza come misura del valore umano. È facile, a ben guardare, trovare nella sua retorica il riflesso delle morali sottese ai fumetti Disney: l’individuo che ce la fa da solo, il capitalismo come gioco competitivo tra “chi ci sa fare” e chi resta indietro, il denaro come premio e come scopo.

Nel mondo di Topolino, Paperone è spesso celebrato per la sua parsimonia, la sua ingegnosità nel fare affari, la sua superiorità morale rispetto ai pigri e truffaldini Bassotti. Ma è davvero solo questo? O non è anche una maschera bonaria di quel capitalismo spietato che difende i propri privilegi dietro il mito della meritocrazia?

Le avventure ambientate a Paperopoli (non a caso una “città del denaro”) spesso mostrano un mondo dove i ricchi dettano legge, i problemi si risolvono con l’iniziativa individuale e l’intervento pubblico è assente o ridicolo. Topolino stesso, sebbene meno apertamente ideologico, è spesso il detective giustizialista, difensore dell’ordine costituito e del buon senso borghese: una sorta di piccolo sceriffo urbano, espressione della fiducia cieca nell'autorità e nella legge, purché scritta in chiave occidentale.

In questo contesto, l'ideologia yankee si riflette in modo sottile ma pervasivo: il mito della frontiera tradotto nel sogno americano, la demonizzazione del “diverso” (vedi come vengono trattati streghe, scienziati pazzi, nemici esterni), l’esaltazione dell’individuo competitivo contro la collettività. Trump ha semplicemente aggiornato questa narrativa, trasformandola in una piattaforma politica reazionaria e populista, ma le radici sono culturali, profonde, e anche – forse soprattutto – pop.

In definitiva, i fumetti Disney, nati per intrattenere, hanno finito per educare. E la loro pedagogia non è mai stata neutra. Se oggi Trump può parlare alla pancia dell’America con slogan semplici, ricatti morali e orgoglio nazionalista, è anche perché per generazioni intere l’immaginario collettivo è stato nutrito da figure come Paperone, presentato come il “buono” nonostante i suoi eccessi, e da mondi dove l’unico vero valore è il successo personale.