Nello studio, pubblicato sulla rivista Science, un team guidato da ricercatori dell'Istituto olandese di ecologia (NIOO-KNAW) ha analizzato le pratiche di gestione del suolo e il biota in 53 campi agricoli nei Paesi Bassi. I siti comprendevano sia aziende agricole biologiche che convenzionali e i tipi di terreno includevano argilla e sabbia.

Sulla base dell'analisi, le pratiche di gestione del suolo a più alta intensità, indipendentemente dal tipo di azienda agricola o di suolo, hanno portato a una minore multifunzionalità del suolo, mentre le pratiche a bassa intensità hanno potenziato la multifunzionalità del suolo.

Anche solo la lavorazione o l'aratura della terra meno frequentemente del solito ha contribuito ad aumentare la multifunzionalità del suolo, il che significa che sia le aziende agricole biologiche che quelle convenzionali possono migliorare il suolo semplicemente riducendo l'intensità con cui gestiscono il terreno su ogni campo. Questo perché la lavorazione del terreno e l'aratura possono alterare i microbi e il contenuto di carbonio organico del suolo, come spiegato da Bioengineer.org.

"La buona notizia è che nell'agricoltura convenzionale, che è la stragrande maggioranza, c'è molto da guadagnare", ha detto in una dichiarazione Wim van der Putten, ecologo del suolo e professore del NIOO. "In tutte le aziende agricole, comprese quelle biologiche, è importante a questo punto non coltivare il terreno in modo troppo intensivo. Ad esempio: arare di meno. Capovolgere il terreno durante l'aratura è un grande disturbo per la vita del suolo".

Questi risultati hanno rivelato che alcune pratiche agricole considerate sostenibili dovrebbero essere riconsiderate per metodi meno intensivi. Invece di un metodo per aumentare la produzione nei campi con un impatto ambientale minimo noto come "intensificazione sostenibile" – che è stato scientificamente controverso a causa delle preoccupazioni sul greenwashing – gli autori hanno raccomandato una "deintensificazione produttiva".

Secondo Kyle Mason-Jones, un ricercatore che ha contribuito allo studio, se la deintensificazione produttiva ha successo, "si otterranno più funzioni da un terreno coltivato meno intensamente, mantenendo il più possibile la resa del raccolto".

Oltre a una lavorazione meno frequente, lo studio ha anche stabilito che incorporare una miscela di erbe e trifoglio da coltivare come colture di copertura potrebbe migliorare la salute del suolo. Come riportato da NIOO, queste miscele di erba e trifoglio potrebbero essere alternate a colture di cereali, come grano e orzo, per migliorare la salute del suolo e sostenere meglio la crescita delle colture.

La ricerca appena pubblicata è la componente finale di un più ampio progetto Vital Soils, completato tra NIOO e Wageningen University & Research con il supporto di NWO Groen, Eurofins-Agro, BO Akkerbouw, Open Teelten e LTO-Noord. Nell'ambito di Vital Soils, i ricercatori hanno precedentemente utilizzato immagini satellitari e misurazioni del "verde" sui campi agricoli per determinare in che modo la diminuzione dell'intensità nella gestione del suolo sembrava influenzare le aziende agricole. Sulla base di questi risultati, una minore intensità sembrava migliorare il suolo e le rese, risultati che sono stati confermati con l'ultimo studio.

Sulla base dei risultati completi dei progetti Vital Soils, NIOO ha riferito che le aziende agricole biologiche potrebbero diventare produttive quanto l'agricoltura convenzionale dopo circa 17 anni di transizione verso una gestione meno intensiva del suolo.

Tuttavia, tutte le aziende agricole sembrano trarre beneficio, sia a breve che a lungo termine, di una migliore e meno intensiva gestione del suolo.

"Non è necessario aver attraversato l'intera transizione verso l'agricoltura biologica per avere ancora un impatto positivo sulla salute del suolo", ha detto in una dichiarazione Guusje Koorneef, che ha lavorato allo studio come parte del suo programma di dottorato. "Trovo davvero promettente che sia nelle aziende agricole convenzionali che in quelle biologiche si possa rafforzare il funzionamento del suolo lavorandolo meno intensamente".

24 Aprile 2025091 da Regioni & Ambiente Secondo ricercatori del Dartmouth College che hanno messo a punto un metodo sottoposto a revisione parietaria per collegare le emissioni a specifici danni climatici, al fine di imputare i costi degli eventi meteorologici estremi amplificati dal cambiamento climatico alle emissioni delle singole aziende produttrici di combustibili fossili, in modo simile a come l’industria del tabacco è stata ritenuta responsabile per i casi di cancro ai polmoni o le aziende farmaceutiche per la crisi da oppioidi, 111 aziende di combustibili fossili hanno causato danni per circa 28 trilioni di dollari tra il 1991 e il 2020, di cui ben 9 da sole 5 major.

Gli incendi boschivi causati dalla siccità nella California meridionale, l’uragano devastante che si è abbattuto sui Monti Appalachi meridionali e le inondazioni catastrofiche nel New England sono solo alcuni dei disastri più recenti che hanno messo in luce i costi astronomici del cambiamento climatico.

Mentre un numero crescente di governi locali e nazionali fatica a riprendersi e a proteggersi da disastri climatici sempre più frequenti e distruttivi, alcuni hanno chiesto un risarcimento direttamente alle aziende di combustibili fossili attraverso cause civili e leggi sul “chi inquina paga”. Ma molte di queste azioni vengono contestate o rallentate in tribunale, in parte per le difficoltà di dimostrare che specifici impatti climatici si siano verificati a causa delle emissioni di gas serra di una singola azienda.

Tuttavia lo Studio “Carbon majors and the scientific case for climate liability”, pubblicato il 23 aprile 2025 su Nature e condotto da 2 ricercatori del Darmouth College ( Università di Hanover, New Hampshire)  fornisce un strumento che permette potenzialmente, secondo gli autori, di definire i costi degli eventi meteorologici estremi amplificati dal cambiamento climatico che possono essere ricondotti a specifici danni imputabili alle emissioni delle singole aziende produttrici di combustibili fossili.

Il quadro messo a punto combina la modellazione climatica con i dati sulle emissioni disponibili al pubblico per confrontare il clima attuale e i suoi impatti con quello che sarebbe senza i gas che intrappolano il calore rilasciati in atmosfera dalle attività di un’azienda. Questo nesso causale è noto come principio “but for”, nel senso che: se non si fossero messe in atto le azioni di una specifica azienda, si sarebbe verificata la catastrofe climatica?

Sosteniamo che il caso scientifico sulla responsabilità climatica sia chiuso, anche se il futuro di questi casi rimane una questione aperta – ha affermato Justin Mankin, Professore associato presso il Dipartimento di Geografia del Darmouth College dove dirige il Climate Modelling & Impact Group, e autore senior dello Studio – Lo studio, risponde a un quesito posto per la prima volta nel 20o3: se la scienza potesse mai collegare le emissioni di una singola azienda al cambiamento climatico. Poco più di 20 anni dopo, la risposta è ‘sì’. Il nostro framework può fornire solide attribuzioni basate sulle emissioni dei danni climatici a livello aziendale. Questo dovrebbe aiutare i tribunali a valutare meglio le richieste di risarcimento per le perdite e i disagi derivanti dai cambiamenti climatici causati dall’uomo“.

Stima delle perdite economiche cumulative causate dal caldo estremo dai grandi emettitori di carbonio (Fonte: Nature, 2025).

Secondo lo studio, il caldo estremo legato all’anidride carbonica e al metano emessi da 111 aziende è costato all’economia mondiale 28.000 miliardi di dollari dal 1991 al 2020, di cui 9.000 miliardi attribuibili alle 5 aziende con le maggiori emissioni:
– Saudi Aramco: 2,05 trilioni di dollari;
– Gazprom: 2 trilioni di dollari;
– Chevron: 1,98 trilioni di dollari;
– ExxonMobil: 1,91 trilioni di dollari;
– BP: 1,45 trilioni di dollari.

Secondo Zero Carbon Analytics, gruppo di ricerca internazionale che fornisce approfondimenti e analisi sui cambiamenti climatici e sulla transizione energetica, sono 68 le cause intentate, il 63% delle quali è ancora in corso. Di quelli concluse, il 44% ha avuto esito positivo, il 48% negativo e nell’8% dei casi è stato raggiunto un accordo.

I nostri risultati dimostrano che è effettivamente possibile confrontare il mondo attuale con un mondo privo di singoli emettitori – ha sottolineato Christopher Callahan, ricercatore post-dottorato di Stanford, che ha iniziato a lavorare al progetto come dottorando nel gruppo di ricerca di Mankin – La prosperità dell’economia occidentale si è basata sui combustibili fossili, ma proprio come un’azienda farmaceutica non sarebbe esonerata dagli effetti negativi di un farmaco per i benefici di quel farmaco, le aziende deicombustibili fossili non dovrebbero essere scusate per i danni che hanno causato dalla prosperità generata dai loro prodotti“.

Lo studio, affermano Callahan e Mankin, trae vantaggio da 20 anni di accumulo di impatti climatici nel mondo reale, dalla maggiore disponibilità di dati socioeconomici e climatici e dai progressi metodologici nella “scienza dell’attribuzione del clima”, una forma di modellazione che consente agli scienziati di monitorare gli effetti del cambiamento climatico quasi in tempo reale.

L’attribuzione climatica è il fulcro del Climate Superfund Act del Vermont del 2024, la legge che consente allo Stato di recuperare i danni finanziari dalle aziende produttrici di combustibili fossili per l’impatto dei cambiamenti climatici sul Vermont, con cui sostenere progetti di adattamento climatico.  La Legge si è parzialmente basata sulla testimonianza di Mankin e su una prima versione dello studio di Nature. In una recente causa viene contesta l’autorità dello Stato di riscuotere tali danni, nonché la capacità del Vermont di utilizzare accuratamente la scienza dell’attribuzione climatica per determinarli.

Il quadro di attribuzione che è riportato su Nature incorpora metodi scientifici consolidati e sottoposti a revisione paritaria per identificare l’effetto di specifici livelli di emissione sugli eventi meteorologici estremi. Inoltre, gli autori si basano anche sui progressi nelle scienze fisiche e sociali che hanno evidenziato connessioni più chiare tra gas serra, cambiamenti climatici locali e perdite economiche.

Secondo Callaghan, è fondamentale che il modello vada oltre la ricerca esistente, eliminando le emissioni totali – misurate in miliardi di tonnellate – dall’equazione per identificare l’impronta di gas serra specifica di un’azienda. I precedenti modelli di attribuzione si basavano sulle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera, misurate in parti per milione, più difficili da attribuire a fonti specifiche.

Il nostro approccio simula direttamente le emissioni – ha dichiarato Callaghan – permettendoci di ricondurre il riscaldamento e le sue ripercussioni a specifici emettitori”.

Lo studio si basa sui loro precedenti lavori che avevano calcolato le perdite finanziarie globali dovute alle ondate di calore e i danni economici che alcuni Paesi hanno causato ad altri, contribuendo al riscaldamento globale.  

Il caldo estremo è indissolubilmente legato al cambiamento climatico stesso, e le perdite che ne derivano sono state motivo di rivendicazioni legali, per cui è un’occasione ovvia per illustrare l’ampia applicazione del nostro approccio – ha concluso Mankin – Viviamo anche in un mondo che si è riscaldato considerevolmente negli ultimi 20 anni, ma questa analisi non è un esercizio predittivo in cui ci chiediamo cosa ci riserva il futuro, bensì uno sforzo documentale in cui mostriamo cosa è già successo e ne spieghiamo il motivo“.

(Peraltro l'utilizzo sempre piu' incentivato e richiesto dell'Intelligenza Artificiale, con la sua richiesta di fonti energetiche enormi, è una delle cause di cambiamento climatico di cui sovrà pure tener conto, e le spinte economiche di Trump&Soci non sono certo quelle di avere resposabilità ma denaro - ndr)

 

I gruppi ambientalisti e scientifici hanno citato in giudizio l'amministrazione Trump per aver rimosso le informazioni pubbliche riguardanti il clima e l'ambiente dai siti web delle agenzie federali.

Il Sierra Club, l'Environmental Integrity Project, la California Communities Against Toxics e l'Union of Concerned Scientists (UCS) hanno presentato una denuncia lunedì presso la Corte Distrettuale degli Stati Uniti per il Distretto di Columbia.

"La rimozione di questi siti web e dei dati critici in loro possesso è l'ennesimo attacco diretto alle comunità che già soffrono sotto il peso dell'aria e dell'acqua mortali", ha dichiarato Ben Jealous, direttore esecutivo del Sierra Club, in un comunicato stampa dell'organizzazione ambientalista di base. "In poche parole, questi dati e strumenti salvano vite umane e gli sforzi per eliminarli, non pubblicarli o rimuoverli in qualsiasi modo mettono a repentaglio la capacità delle persone di respirare aria pulita, bere acqua pulita e vivere una vita sicura e sana. L'amministrazione Trump deve porre fine ai suoi sforzi per privare ulteriormente dei diritti civili e mettere in pericolo queste comunità".

L'amministrazione ha iniziato a esaminare i siti web delle agenzie e a rimuovere le menzioni del cambiamento climatico pochi giorni dopo che il presidente Donald Trump ha iniziato il suo secondo mandato. Queste azioni sono state accompagnate dalla chiusura di uffici per l'ambiente e il clima e da altre attività volte a minare la giustizia ambientale in tutto il governo federale.

Sierra Club v. EPA contesta la rimozione da parte dell'amministrazione di importanti strumenti di giustizia ambientale come il Climate and Environmental Justice Screening Tool e EJScreen. Entrambi i siti web sono stati spesso utilizzati da autorità di regolamentazione, sostenitori e accademici per identificare le comunità colpite in modo sproporzionato dai cambiamenti climatici e dall'inquinamento.

"La rimozione di informazioni pubbliche dai siti web crea pericolose lacune nei dati disponibili per le comunità e i decisori sui rischi per la salute derivanti dall'inquinamento industriale", ha dichiarato Jen Duggan, direttore esecutivo dell'Environmental Integrity Project, nel comunicato stampa. "Eliminare EJScreen dal web oscura l'impatto reale dei rilasci tossici sulle comunità a basso reddito e sulle comunità di colore da parte di grandi inquinatori come petrolio, gas e operazioni petrolchimiche, il che è piuttosto ironico da parte di un'amministrazione che afferma di sostenere la trasparenza".

Gli strumenti essenziali tengono traccia degli oneri relativi all'energia, all'alloggio, alla salute, ai cambiamenti climatici, all'inquinamento ereditato, all'acqua e alle acque reflue, ai trasporti e allo sviluppo della forza lavoro.

"Le azioni delle agenzie rappresentano un tentativo di svendere la salute degli americani e dell'ambiente, e anche di negare l'accesso alle informazioni che consentono alle persone di sostenere il cambiamento", ha detto Zach Shelley, consulente principale dei querelanti e avvocato del Public Citizen Litigation Group. "Queste risorse sono state sviluppate per uso pubblico e il governo ha il dovere di mantenerle disponibili. Privare il pubblico dell'accesso a queste risorse fa parte di un tentativo illegale di minare le protezioni ambientali fondamentali".

La causa – intentata contro l'Agenzia per la protezione dell'ambiente degli Stati Uniti (EPA), il Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti (DOE), il Council on Environmental Quality, il Dipartimento dei trasporti degli Stati Uniti (DOT) e l'Agenzia federale per la gestione delle emergenze (FEMA) – contesta anche la rimozione di strumenti di giustizia climatica, ambientale ed energetica come lo strumento di dati sull'accessibilità energetica a basso reddito del DOE e la mappa del piano di benefici per la comunità. Future Risk Index della FEMA e Equitable Transportation Community Explorer del DOT.

Molte organizzazioni senza scopo di lucro e ricercatori utilizzano gli strumenti per sostenere ed educare sulle azioni o sulle politiche delle agenzie per affrontare il danno sproporzionato inflitto alle comunità sovraccaricate. Li usano come risorse per compilare rapporti sugli oneri energetici sproporzionati in alcuni stati; progetti di gasdotti proposti; e report di lunga durata sull'impatto ambientale delle pratiche di spedizione al dettaglio online, come il tracker LNG di Sierra Club e il tracker di Environmental Integrity Project per le operazioni di petrolio e gas.

"Il pubblico ha il diritto di accedere a questi set di dati finanziati dai contribuenti", ha dichiarato il presidente dell'UCS Gretchen Goldman, nel comunicato stampa. "Dalle informazioni vitali per le comunità sulla loro esposizione all'inquinamento nocivo, ai dati che aiutano i governi locali a costruire la resilienza agli eventi meteorologici estremi, il pubblico merita l'accesso ai set di dati federali. La rimozione dei set di dati governativi equivale a un furto".

La scorsa settimana, Trump ha firmato ordini esecutivi che tenterebbero di mantenere in funzione le centrali elettriche a carbone, spingendo al contempo l'espansione dell'estrazione del combustibile sporco su terreni pubblici.

L'EPA di Trump ha annunciato il mese scorso un piano per revocare o annullare oltre 30 standard ambientali cruciali che aiutano a salvaguardare tutto, dall'aria pulita all'acqua potabile sicura.

"Non possiamo semplicemente cancellare l'impatto che l'inquinamento sta avendo sulle comunità che ospitano la nostra infrastruttura industriale. Questo inquinamento sta causando un aumento dell'asma, della BPCO, del basso peso alla nascita e della morte precoce. Comprendere questi impatti ci consente di ridurre l'inquinamento e proteggere la salute pubblica", ha affermato Jane Williams, direttore esecutivo di California Communities Against Toxics. "Questi sono principi essenziali di una società sana e le informazioni che vengono eliminate da questa amministrazione sono essenziali per proteggere il pubblico da questi impatti negativi sulla salute".

 

L’accordo commerciale tra l’Unione Europea e il blocco Mercosur (Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay e Bolivia) è da anni al centro di un acceso dibattito. Se da un lato promette nuove opportunità economiche e una maggiore integrazione tra Europa e Sud America, dall’altro solleva gravi preoccupazioni ambientali, etiche e sociali. In un’epoca in cui la crisi climatica impone decisioni coraggiose, continuare a negoziare trattati senza reali garanzie di sostenibilità rischia di vanificare gli obiettivi del Green Deal europeo.

Deforestazione e agroindustria: i costi ambientali del commercio

Il principale timore legato all’accordo UE-Mercosur riguarda l’incentivo che potrebbe fornire alla deforestazione dell’Amazzonia, spesso legata alla produzione di carne bovina e soia destinata all’esportazione. La domanda europea di questi beni – se non regolata con attenzione – può spingere verso una espansione indiscriminata dell’agroindustria intensiva, a discapito delle foreste tropicali, della biodiversità e delle comunità indigene.

Nonostante le dichiarazioni d’intenti, i meccanismi di controllo ambientale presenti nelle bozze dell’accordo appaiono deboli e non vincolanti, lasciando ampia discrezionalità agli Stati membri del Mercosur, alcuni dei quali hanno già dimostrato in passato scarsa volontà di proteggere il proprio patrimonio ecologico.

Flussi finanziari opachi e paradisi fiscali: chi finanzia la distruzione ambientale?

Accanto ai rischi ecologici, vi è un altro aspetto troppo spesso sottovalutato: il ruolo dei finanziamenti esterni provenienti da paradisi fiscali o da circuiti finanziari non trasparenti. Diverse inchieste internazionali hanno evidenziato come capitali offshore siano impiegati per finanziare attività ad alto impatto ambientale, come la deforestazione illegale, la pesca non regolamentata o l’uso di pesticidi vietati in Europa.

Questi fondi, difficili da tracciare, sfuggono ai controlli e alle sanzioni previste dalle normative ambientali internazionali. Inoltre, creano una competizione sleale con gli operatori onesti, spingendo verso un abbassamento degli standard ambientali e sociali. In assenza di meccanismi di trasparenza finanziaria legati al commercio, l’accordo con il Mercosur rischia di aprire la porta a investimenti inquinanti e opachi, vanificando ogni sforzo di sostenibilità.

Serve un cambio di paradigma: dall'accordo alla responsabilità

Il vero nodo non è soltanto l’accordo in sé, ma l’assenza di strumenti efficaci per monitorare l’impatto ambientale del commercio internazionale. L’Unione Europea, se vuole davvero porsi come leader globale della transizione ecologica, deve imporre nuovi standard di tracciabilità e trasparenza sui prodotti che importa ed esporta.

In questo senso, è urgente passare da un modello di commercio cieco e deregolamentato a un modello responsabile e verificabile, dove la sostenibilità non sia solo una clausola scritta, ma una condizione misurabile e monitorabile.

Tecnologie emergenti per un commercio trasparente

Le soluzioni esistono, ma vanno implementate in modo sistemico. Tre tecnologie in particolare possono rappresentare un cambio di passo:

1. Controllo satellitare

L’uso di immagini satellitari permette di monitorare in tempo reale i cambiamenti nell’uso del suolo, identificando deforestazioni sospette o pratiche agricole illegali. Questi dati possono essere incrociati con le esportazioni per rilevare correlazioni dirette.

2. Blockchain

Attraverso la blockchain è possibile tracciare ogni passaggio della filiera di un prodotto – dalla coltivazione al trasporto – in modo immutabile e trasparente. Ciò consente di verificare che i beni importati rispettino criteri ambientali certi, evitando il greenwashing e premiando i produttori virtuosi.

3. IoT e sensori ambientali

Sensori connessi possono raccogliere dati su uso dell’acqua, emissioni, condizioni del suolo, e trasmetterli in tempo reale a piattaforme di controllo. Questo permette di certificare sul campo le pratiche produttive adottate.

Un’Europa coerente con i propri principi

Per essere davvero coerente con i suoi obiettivi climatici, l’UE deve legare i suoi accordi commerciali a criteri ambientali stringenti, controllati con strumenti digitali avanzati. Non bastano dichiarazioni politiche: servono infrastrutture normative e tecnologiche che rendano la sostenibilità tracciabile, verificabile e sanzionabile.

Il rischio, altrimenti, è duplice: da un lato, contribuire indirettamente alla devastazione di ecosistemi fondamentali come l’Amazzonia; dall’altro, perdere credibilità agli occhi dei cittadini europei e delle nuove generazioni, sempre più sensibili alla giustizia climatica.

Il commercio internazionale non è neutrale: può essere motore di sviluppo sostenibile oppure amplificatore di disastri ambientali. La differenza la fanno le regole e gli strumenti con cui lo governiamo. L’accordo con il Mercosur rappresenta una sfida cruciale per l’Europa: scegliere tra l’economia del passato e la responsabilità del futuro.

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