In un Paese dove l’unico cantiere che non dà fastidio è quello mai aperto, il NIMBY (Not In My Back Yard) è solo la punta dell’iceberg di un sistema che ha fatto dell’immobilismo una forma d’arte. Tutti vogliono infrastrutture moderne, energia pulita, trasporti efficienti e città verdi. Però — dettaglio non trascurabile — senza cambiare nulla, senza toccare nulla, senza disturbare nessuno. Un miracolo urbanistico alla Harry Potter, insomma.

Ma il NIMBYismo da solo non basterebbe a spiegare perché in Italia anche costruire una panchina richieda il tempo necessario a un ciclo lunare completo. No, qui entra in gioco la burocrazia bizantina, il balletto tragicomico delle autorizzazioni, il potere delle Soprintendenze che proteggono anche i ruderi dei supermercati dismessi anni '80 come fossero siti Unesco, e naturalmente il TAR, che è diventato il vero ministero delle Infrastrutture del nostro Paese.

Ogni progetto pubblico ormai prevede, tra i costi fissi, un ricorso al TAR obbligatorio, tipo il catering o le sedie per l’inaugurazione. Non c'è opera che parta senza che qualcuno faccia causa, gridando al mostro urbanistico, anche se si tratta di una pista ciclabile tra due rotonde. È un meccanismo perfetto per non fare nulla ma col massimo delle garanzie legali.

Nel frattempo, le aree dismesse — quelle vere, brutte, inquinanti — stanno lì, come cicatrici aperte nel paesaggio urbano. Nessuno le recupera. Nessuno sa come farlo, o meglio: nessuno vuole assumersi il rischio politico di dire “facciamolo”. Perché vuoi mettere il rischio di svegliare un comitato di quartiere? Meglio lasciare tutto com’è, che tanto fa anche un po’ “archeologia industriale”, fa figo. E chi se ne importa se a cento metri c’è gente che vive con le finestre chiuse per il tanfo di amianto.

E mentre ci si divide tra chi vuole l'idrogeno verde, chi l'eolico in mare aperto ma lontanissimo dalla vista, e chi vuole solo che tutto resti esattamente com’è — il concetto di sostenibilità muore soffocato sotto una pila di PDF da approvare in quindicesima commissione. Nessuno che osi dire che la sostenibilità vera implica delle scelte, dei compromessi, delle trasformazioni. Serve densificare le città, recuperare spazi abbandonati, rendere efficiente ciò che già esiste. Ma questa roba qui non fa click, non fa indignazione social. E soprattutto: potrebbe disturbare.

E allora eccoci qui, nel 2025, con una generazione di giovani che chiede più Stato, mentre lo Stato viene demolito a colpi di "no", di comitati spontanei, di attese infinite per una firma, di sindaci che fanno i “contro” anche alle cose che avevano approvato loro stessi tre anni prima, e di politici che si cagano sotto all’idea di decidere qualcosa.

E poi ci si sorprende se la destra avanza. Ma è ovvio. Perché almeno dice “FAREMO QUALCOSA, MA NON NEL TUO GIARDINO” (vedi tassisti e balneari) con estrema chiarezza. Il che, in questo scenario, è già un atto rivoluzionario. Chi si oppone, invece, fa il tifo per il nulla, per il blocco eterno, per il Paese-ricordo, dove tutto è com’era e niente sarà come dovrebbe. Basta che non tocchino il mio cortile.

Eppure il problema non è solo la mancanza di decisionismo: è la totale assenza di responsabilità chiara e di tempi certi. È questo che i giovani, sotto sotto, stanno urlando. Non tanto il desiderio di un “uomo forte” — che pure emerge da sondaggi inquietanti, come quello di SWG in cui il 52% dei giovani tra i 25 e i 34 anni accetta l’idea di un leader che governi senza Parlamento. Un numero che dovrebbe far tremare ogni democratico vero, ma che in fondo non dice “via la democrazia”, bensì “dateci uno Stato che funzioni”.

Il  Rapporto Giovani 2024 realizzato da EURES in collaborazione con il Consiglio Nazionale dei Giovani e l’Agenzia Italiana per la Gioventù .​ evidenzia come  i giovani italiani mostrano un forte desiderio di maggiore attenzione da parte delle istituzioni. Tuttavia, solo il 3% degli intervistati ritiene che le istituzioni siano "del tutto adeguate" nel rispondere alle esigenze dei giovani, mentre il 9,1% le considera "abbastanza adeguate". La maggioranza esprime insoddisfazione: il 47,9% le giudica "piuttosto inadeguate" e il 34,8% "del tutto inadeguate". Inoltre, il rapporto evidenzia che i giovani italiani desiderano sentirsi più utili alla comunità in cui vivono. Una ricerca ha rilevato che l'83,4% dei giovani italiani vorrebbe contribuire attivamente alla società, e il 74,2% si dichiara disposto a svolgere attività di volontariato.​ Questi dati indicano una generazione che, pur desiderando un maggiore coinvolgimento e supporto da parte dello Stato, si sente spesso trascurata e poco valorizzata dalle istituzioni.​

I giovani italiani non vogliono evidentemente vivere in un reality show istituzionale dove ogni riforma finisce nel nulla, ogni piano si arena, ogni progetto pubblico si trasforma in un cantiere archeologico. Vogliono sapere chi decide, cosa decide e quando succederà. Soprattutto: che accada davvero.

Ma questo Paese ha già avuto una possibilità, nel 2016, con il referendum costituzionale. Non perfetto, discutibile, certo. Ma era una riforma strutturale, un tentativo (maldestro, magari) di razionalizzare un sistema confuso. Eppure fu ridotto a un plebiscito personale: non una riflessione sul bicameralismo, ma un “sì” o “no” a Matteo Renzi. Il risultato? Un altro treno perso, un’altra occasione buttata, un altro “no” che suonava tanto familiare: "non adesso, non così, non da te".

E così, mentre il mondo corre, noi restiamo inchiodati al solito copione: nessuno che vuole decidere, tutti pronti a impedire. Ma tranquilli, finché c'è un TAR, un comitato e un bel "non nel mio giardino", l’Italia sarà salva. O almeno, sarà comoda. Immobile, ma comoda.

di Andrea Gaiardoni

 Eccoli gli apostoli del trumpismo, che chiamano a raccolta i loro seguaci, che scendono in piazza invocando la “democrazia” ma pretendendo al tempo stesso di esercitare un potere al di sopra delle leggi, attaccando lo stato di diritto e l’indipendenza della magistratura. Marine Le Pen è stata appena condannata a quattro anni di carcere (due dei quali condonati) e a 5 anni di ineleggibilità per appropriazione indebita di fondi del Parlamento Europeo: il che la escluderebbe dalla corsa presidenziale del 2027, salvo ribaltamenti della sentenza in appello. Eppure la leader dell’estrema destra francese ha immediatamente indossato i panni della martire, sostenendo di essere “vittima di una caccia alle streghe politica”, parlando di “diritti violati”, di “milioni di francesi indignati”, fino a sostenere che la magistratura le ha lanciato contro “una bomba nucleare per impedirle di correre alle prossime presidenziali”. E perciò ha chiamato a raccolta i suoi fedelissimi (non una gran folla, appena qualche migliaio di persone) domenica scorsa in Place Vauban, nel cuore di Parigi, per una pubblica protesta indetta “per salvare la democrazia”. 

Cambio di scena: Brasile, Rio De Janeiro. La spiaggia di Copacabana è affollata da migliaia di persone (18mila secondo le stime dei quotidiani locali) che indossano le magliette verde-oro della nazionale di calcio brasiliana, che gridano slogan a favore dell’ex presidente Jair Bolsonaro e che mostrano cartelli con su scritto Amnistia oraI guai di Bolsonaro sono assai più gravi di quelli di Le Pen: il mese scorso era stato formalmente accusato dal procuratore generale del Brasile per aver tentato di organizzare un colpo di stato, in combutta con altre 33 persone, dopo aver perso le elezioni dell’ottobre 2022. Il complotto, chiamato dagli stessi organizzatori “Pugnale verde e giallo”, puntava “ad abbattere il sistema dei poteri e l’ordine democratico” e includeva anche un piano per avvelenare il suo successore e attuale presidente, Luiz Inácio Lula da Silva, e per uccidere un giudice della Corte Suprema, Alexandre de Moraes. Qualora fosse ritenuto colpevole l’ex presidente, già condannato all’ineleggibilità fino al 2030 per aver sostenuto che il sistema elettorale brasiliano era truccato, rischia di passare in carcere i prossimi 20 anni. 

Il “colpo di spugna” su Capitol Hill

Anche Bolsonaro nega tutto, si definisce un “perseguitato politico”, parla di un “attacco alla democrazia”. Eppure le affinità con Trump, con la sua condotta, con il suo stile, sono lampanti. A partire dalle insurrezioni dei suoi sostenitori che l’8 gennaio 2023 assaltarono e vandalizzarono i “luoghi” del potere a Brasilia (la Corte Suprema, il Congresso, il Palazzo presidenziale) per contrastare l’elezione di Lula. Oltre 1.500 furono gli arresti: e l’attuale richiesta d’amnistia dei fan di Bolsonaro punta proprio a cancellare quelle condanne. Ma l’analogia con quanto accaduto a Capitol Hill il 6 gennaio 2021 è lampante: l’assalto al Campidoglio dei fanatici estremisti di destra trumpiani per impedire “fisicamente” ai legislatori americani di certificare la vittoria di Joe Biden alle elezioni; l’accusa di brogli lanciata dall’allora ex presidente senza alcun fondamento; l’accusa, ricevuta da diversi tribunali e giudici degli Stati Uniti, di aver attivamente “incitato” all’insurrezione, o quantomeno non aver fatto abbastanza per impedirla. La differenza è nell’esito finale, e nella maggiore “capacità d’intervento” della magistratura brasiliana rispetto a quella americana: Bolsonaro è stato condannato per quel che ha fatto. Trump noper ragioni diverse e complesse: al punto che ha potuto di nuovo candidarsi e vincere le ultime elezioni. “Il 6 gennaio dimostra che l’impunità è la regola per le élite americane”, già scriveva Newsweek nel primo anniversario di quegli eventi.

L’obiettivo di questa rete transnazionale di estrema destra, che usa gli stessi slogan, le stesse parole d’ordine, è evidente: avvelenare i pozzi della democrazia. Colpire il pilastro della separazione dei poteri, delegittimare qualsiasi organo della magistratura osi mettersi di traverso con la “scusa” di applicare la legge. Neutralizzare il sistema giudiziario e smantellare i sistemi di supervisione che mettono sotto controllo la loro autorità. Come ha ricordato recentemente il politologo Steven Levitsky, professore all’Università di Harvard, in un’intervista al settimanale tedesco Der Spiegel: “Stiamo assistendo al collasso della nostra democrazia. Sotto Donald Trump, gli Stati Uniti stanno scivolando in una forma di autoritarismo competitivo. Questo probabilmente non sarà irreversibile. Ma il fatto è che in questo momento, gli Stati Uniti stanno cessando di essere una democrazia”. Difatti il presidente americano non ha escluso l’ipotesi di ripresentarsi per un terzo mandato, nonostante il divieto imposto dal 22° emendamento della Costituzione americana. Trump non è il primo autocrate che tenta di radere al suolo lo stato di diritto: Erdogan in Turchia, Orbàn in Ungheria, per non parlare di Putin, più sfacciato nella sua postura dittatoriale. O di Netanyahu, che pur di mantenere il suo potere illimitato e schivare la fastidiosa insistenza dei giudici che pretendono di processarlo per diversi reati commessi prima della carneficina di Gaza è disposto, letteralmente, a tutto: militarmente, giudiziariamente, moralmente. A fare la differenza è il ruolo che Trump ricopre, il “peso” che una decisione del presidente degli Stati Uniti può avere sul resto del mondo. E l’esempio che può dare: difatti a Parigi i sostenitori di Marine Le Pen hanno portato in piazza l’equazione: “Se Trump si è candidato, perché vogliono impedirlo a Marine?”. Gli striscioni di altri dimostranti lepenisti recitavano: “La giustizia prende ordini”, oppure “Fermate la dittatura giudiziaria”. Lo stesso ritornello già sentito più e più volte negli ultimi decenni anche in Italia, da Berlusconi in poi. L’ultimo esempio pochi giorni fa, con il sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano che è arrivato a definire la magistratura come una sorta di contro-potere politico “che tenta di erodere la volontà popolare”. Sono in molti a essere d’accordo con lui. Elon Musk ad esempio, il plurimiliardario ospite fisso della casa Bianca, che dopo il verdetto di condanna di Le Pen ha dichiarato: “Quando la sinistra radicale non può vincere attraverso il voto democratico, abusa del sistema legale per incarcerare i suoi oppositori. Questo è il loro copione standard in tutto il mondo”. Bénédicte de Perthuis, il giudice che ha condannato la leader dell’estrema destra francese, è stato posto sotto protezione dalla polizia dopo aver ricevuto diversi messaggi con minacce personali.

Il dietrofront di Trump sui dazi

Eppure la fascinazione collettiva suscitata da Trump comincia a mostrare cenni di cedimento dopo neanche tre mesi dal suo insediamento alla Casa Bianca, e dopo aver scatenato una guerra commerciale mondiale, con la decisione unilaterale e priva di qualsiasi giustificazione “tecnica” (a parte l’illusione di ripianare cosìl’enorme debito pubblico americano) d’imporre dazi praticamente al mondo intero (ma non alla Russia e alla Corea del Nord), dando così origine a un caos globale senza precedenti e dalle conseguenze ancora imprevedibili. Salvo poi congelarli, poche ore fa, con una mossa a sorpresaprobabilmente costretto dal crollo dei mercati globali (Wall Street ha registrato il suo peggior calo dalla pandemia di Covid), inasprendo tuttavia quelli con la Cina, portandoli al 125%: i prossimi tre mesi saranno decisivi per capire quale strada l’imprevedibile inquilino della Casa Bianca deciderà d’intraprendere. 

Resta il fatto che le critiche nei confronti di Trump si fanno sempre più aspre, e ampie. Prova ne siano le enormi manifestazioni di protesta che a partire dallo scorso fine settimana hanno attraversato ogni angolo degli Stati Uniti, sotto lo slogan Hands Off, “Giù le mani”. Alle proteste pacifiche, oltre 1.300, organizzate da più di 150 gruppi di difesa e per i diritti civili, coordinate dall’organizzazione progressista MoveOn, hanno partecipato oltre 3 milioni di americani per dire no allo smantellamento dei programmi economici e sociali, per opporsi ai brutali tagli al personale pubblico operati da Elon Musk. “Non staremo in silenzio mentre i nostri diritti, il nostro futuro e la nostra democrazia sono sotto attacco”, ha dichiarato la direttrice esecutiva di MoveOn, Rahna Epting. “Il nostro è un movimento pacifico al quale partecipano persone comuni - infermieri, insegnanti, studenti, genitori - che si stanno sollevando per proteggere ciò che conta di più. Siamo uniti, siamo implacabili e siamo solo all’inizio”. Simili manifestazioni di opposizione a Trump e alle sue politiche non soltanto commerciali iper aggressive si sono svolte anche in altri paesi, dal Canada al Messico, e in diverse capitali europee, da Parigi a Berlino, da Londra a Lisbona. 

Quanto sta accadendo in Canada, che nei sogni da imperatore di Trump potrebbe e dovrebbe diventare presto il 51° stato americano, merita un breve approfondimento. Il prossimo 28 aprile i canadesi saranno chiamati a votare per le elezioni federali, che determineranno la composizione del prossimo governo, dopo un decennio a guida liberale e dopo le dimissioni anticipate cui è stato costretto l’ex leader del Partito Liberale, Justin Trudeau. Sembrava tutto apparecchiato per un drastico cambio di scenario, con il Partito Conservatore, capitanato dal 45enne Pierre Poilievre, populista di destra e simpatizzante trumpiano(scimmiottando il presidente americano aveva sfoggiato lo slogan Canada First) pronto ad assumere la guida del governo, forte di un vantaggio record nei sondaggi di 27 punti percentuali rispetto al Partito Liberale (47% contro 20%, stando alla rilevazione di Abacus Data del 9 gennaio 2025). Ma sono bastati un paio di mesi di Trump alla Casa Bianca, con le sue mire da conquistatore, per ribaltare i sondaggi: ora i Liberali sono tornati in vantaggio di dieci punti, con il primo ministro Mark Carney, economista, ex governatore della Bank of Canada, che evidentemente offre più garanzie e competenze rispetto a Poilievre, accusato dai suoi stessi colleghi di partito di aver risposto troppo lentamente alle minacce di annessione e alle aggressioni commerciali del presidente americano. I sondaggi sono una cosa, il voto reale spesso dice altro: ma nella migliore delle ipotesi, vista dal lato dei Conservatori, l’elezione del 28 aprile si risolverà con un testa a testa. Ma di certo gli atteggiamenti di Trump e i suoi modi da gangster hanno appesantito la corsa dei conservatori, scatenando proteste tra i canadesi. In una di queste, domenica scorsa, a Montreal, alcuni manifestanti hanno innalzato striscioni sostituendo all’ormai celebre acronimo trumpiano MAGA (Make-America-Great-Again) il più beffardo “Menteur- Arrogant-Goujat-Abuseur” (Bugiardo, Arrogante, Maleducato e Abusatore). Scrive The Tyee, sito giornalistico indipendente con sede a Vancouver: “Con l’attacco non provocato e punitivo di Trump al Canada, Mark Carney ha esattamente le qualifiche per affrontare questa enorme crisi economica. Se mal gestita, potrebbe costare al paese la sua industria automobilistica e centinaia di migliaia di posti di lavoro in altri settori. I tempi richiedono un negoziatore sofisticato con un background in finanza, non un cane da guerra politico”.

L'intelligenza artificiale (IA) sta rapidamente trasformando il panorama lavorativo, sollevando interrogativi su quali professioni siano a rischio e quali invece possano prosperare.

Negli ultimi anni, l'adozione dell'IA è passata da una nicchia di esperti a un fenomeno di massa, grazie a strumenti come ChatGPT e DALL·E. Queste tecnologie stanno già rivoluzionando settori come la finanza, dove software avanzati possono generare consulenze ipotecarie basate su milioni di dati, e la sicurezza, con sistemi capaci di rilevare transazioni sospette analizzando enormi volumi di operazioni finanziarie.

Un esempio concreto è quello dei centralini telefonici: molte aziende stanno sostituendo i classici operatori con assistenti vocali automatizzati capaci di riconoscere il linguaggio naturale, rispondere a domande frequenti e indirizzare le chiamate ai reparti giusti, riducendo drasticamente i tempi di attesa e i costi del personale.

L'Ascesa degli Agenti IA

Si prevede un aumento degli "agenti IA", applicazioni intelligenti progettate per assistere nelle attività quotidiane. Un'app, per esempio, potrebbe analizzare il contenuto del frigorifero e pianificare la spesa settimanale ottimizzando per salute e budget. Oppure potrebbe identificare anomalie nelle bollette energetiche e suggerire alternative più economiche.

Nel settore dell’assistenza tecnica, molte aziende utilizzano già chatbot intelligenti che guidano i clienti nella risoluzione di problemi comuni con i dispositivi, eliminando la necessità di un contatto umano. Anche la redazione di manuali tecnici viene in parte automatizzata, con sistemi IA capaci di generare documentazione dettagliata e personalizzata in tempo reale.

Implicazioni per il Mercato del Lavoro

Secondo l'esperto di IA Kai Bergin, entro il 2030 molte mansioni d'ufficio potrebbero essere automatizzate. Attività come la redazione di rapporti finanziari, l'analisi dei dati e la corrispondenza potrebbero essere gestite da applicazioni IA, che operano 24/7 senza necessità di pause o stipendi.

Anche professioni regolamentate come quelle dei commercialisti e degli avvocati iniziano a subire l'impatto dell'automazione. Esistono già strumenti basati su IA in grado di compilare dichiarazioni fiscali in pochi minuti, individuare detrazioni fiscali, redigere contratti e persino analizzare sentenze per prevedere l’esito di una causa. Queste tecnologie non sostituiranno del tutto i professionisti, ma potrebbero ridurre notevolmente la richiesta di operatori junior o assistenti.

Anche i numeri verdi per i servizi pubblici e le utilities stanno adottando soluzioni IA che permettono di gestire milioni di chiamate e richieste via chat, email o voce, offrendo risposte sempre disponibili, aggiornate e coerenti.

Verso un Nuovo Equilibrio

L'IA rappresenta una trasformazione simile alla rivoluzione industriale, ma focalizzata sul lavoro cognitivo anziché manuale. È fondamentale che i lavoratori valutino se le loro competenze siano sostituibili da macchine e, se necessario, considerino una riqualificazione.

Tuttavia, non tutte le professioni sono a rischio. Lavori che richiedono abilità manuali e interazioni umane, come parrucchieri, infermieri, idraulici e operatori edili, sono meno suscettibili all'automazione. Come sottolinea Bergin, "i robot non riparano i rubinetti".

Allo stesso tempo, la società deve monitorare attentamente lo sviluppo dell'IA, assicurandosi che sia guidato da norme etiche e legali rigorose. Occorre anche tutelare i lavoratori impattati, offrendo percorsi formativi, sostegni alla transizione e nuove opportunità in settori emergenti.

Conclusione

L'IA offre opportunità significative, ma richiede un adattamento proattivo da parte dei lavoratori e una vigilanza costante da parte della società. Solo così sarà possibile garantire un futuro lavorativo equilibrato, inclusivo e ricco di nuove possibilità.

Con questa frase, tanto semplice quanto universale, Mafalda – la celebre bambina ribelle uscita dalla matita del geniale Quino – esprimeva il disagio profondo di chi si sente fuori posto in un mondo che gira troppo in fretta e, troppo spesso, nella direzione sbagliata.

Mafalda vuole bene al mondo, lo vuole migliorare, non intende affatto abbandonarlo… Il suo affetto sincero è indiscutibile. Numerose strisce la mostrano intenta a curare il mappamondo: lo mette in un lettino, gli parla, lo accarezza, lo consola, chiama perfino l’ambulanza; soprattutto, vuole la pace per il mondo. E quando si accorge che sta male, perché Pechino, il Pentagono e il Cremlino sono in conflitto, li cancella dal mappamondo, perché così si potrà vivere in pace”. 

Non lo sapevo, e questa scoperta mi ha portato con più agio nel racconto di un mondo, quello della contestazione, che è stato e forse è ancora il mio: ma come? Padre Pani conosce questo mondo, ha scritto articoli molto importanti sul ‘68, l’anno del boom mondiale di Mafalda, “la contestataria”. Mi ricordo il suo articolo del 2018: “Ma che cosa è rimasto di quell’anno cruciale? Sicuramente molte interpretazioni hanno colto nel ’68 solo la lotta per i diritti civili, la liberazione sessuale e la causa che ha portato, in Italia, alla deriva della violenza e del terrorismo. Ma il ’68 è stato soprattutto una generazione che ha contestato il mondo che aveva ereditato, poiché non corrispondeva più alla realtà.”

Dunque questa lettura mi ha preso perché mi ha riguardato da subito: “Mafalda, la sua creatura, l’enfant terrible, divenuta in brevissimo tempo simbolo di un mondo critico e pessimista, contestatario e mordace, sempre sovversivo, ma intimamente sincero e buono, soprattutto intelligente e saggio, colmo di buon senso. Le sue battute più sarcastiche sono contro «i grandi», che non fanno molto per risolvere i drammatici problemi che attanagliano gli Stati: la fame, l’ingiustizia sociale, la guerra, la stupidità umana. Odia il comunismo, ama la democrazia ed è appassionata dei Beatles. Mafalda può anche risultare antipatica, perché sempre pronta a «fare le bucce» ai discorsi degli adulti, alla cosiddetta «saggezza dei grandi», alla cultura dominante, eppure ha sempre ragione, e soprattutto fa sorridere, è spassosa e diverte. La sua critica non risparmia nessuno: né la società, né la scuola, né la famiglia, e nemmeno le istituzioni, la polizia, l’economia monetaria e perfino la motorizzazione; eppure il bello è che vede giusto, non si può fare a meno di condividere ciò che pensa”.  

Dopo aver dato un protagonista al mondo, Quino la fa sparire nel ‘73, sono anni di “guerra sporca” per l’Argentina. Ma… “Quino torna a disegnare Mafalda nel 1977, quando l’Unicef gli chiede di illustrare i dieci princìpi della Dichiarazione dei Diritti del Bambino. Così Mafalda è «risorta», scelta per le campagne promozionali, e l’autore disegna per l’organismo mondiale 10 vignette e un poster, cedendo gratuitamente i diritti. La contestataria Mafalda vive per proclamare i diritti dei piccoli che nel mondo ancora non sono da molti osservati; e nell’ultima vignetta punta il dito contro il mappamondo, ammonendo: E questi diritti… rispettiamoli sul serio, eh? Che non accada come per i dieci comandamenti!” 

E’ ora di capire chi sia stata e chi seguiti ad essere il personaggio Mafalda e padre Pani ci ricorda quanto scrisse Umberto Eco: “Se si è usato, per definirlo, l’aggettivo di “contestataria”, non è per uniformarsi alla moda dell’anticonformismo a tutti i costi: Mafalda è veramente un’eroina arrabbiata che rifiuta il mondo così com’è.” Ecco la frase importante: rifiutare il mondo così com’è. Com’è? Valga per tutte le citazioni questa relativa a Mafalda e suo padre: “Il padre di Mafalda sdegnato sbatte a terra il giornale, perché l’arbitro non ha visto un fallo durante una partita, e grida: «Una cosa simile è intollerabile!». Lei, incuriosita, legge nel giornale: «Aumenta sempre il numero di bambini abbandonati e denutriti». E poi rivolgendosi a lui: «È bello vedere che ti preoccupi di cose così importanti, papà. Tutti dovrebbero essere come te!». Appare il volto scuro e vergognoso del padre…”.

Proseguendo nella lettura quasi attende di scoprire che Gabriel Garcia Marquez ha saputo scrivere: “Quino ci sta dimostrando che i bambini sono i depositari della saggezza. Quello che è triste per il mondo è che man mano che crescono perdono l’uso della ragione, a scuola dimenticano ciò che sapevano alla nascita, si sposano senza amore, lavorano per denaro, si puliscono i denti, si tagliano le unghie e alla fine diventano adulti miserevoli, non affogano in un bicchier d’acqua ma in un piatto di minestra. Verificare questo in ogni suo libro è la cosa che assomiglia di più alla felicità: la Quinoterapia”. 

Oggi, a distanza di decenni dalla sua creazione, le vignette di Mafalda non solo non sono invecchiate, ma sembrano diventare ogni giorno più attuali. Se la bambina con il fiocco nero potesse parlare oggi, cosa direbbe di fronte alla realtà che ci circonda?

L’inquinamento: la Terra è sempre più malata

Mafalda aveva un rapporto tenero ma angosciato con il pianeta Terra. In una delle sue vignette più celebri, osserva un mappamondo con aria preoccupata e dice:

“Povera umanità. Sempre a pensare a sé stessa. Mai a te.”

Oppure, in un’altra, abbraccia il mappamondo come fosse un amico malato, chiedendogli:

“Cos’hai, Terra? Ti senti male?”

Oggi, di fronte al cambiamento climatico, alla plastica negli oceani, alla deforestazione e all’inquinamento atmosferico che soffoca le città, quelle frasi assumono il tono amaro della profezia. Mafalda sarebbe una giovane attivista climatica, un misto tra Greta Thunberg e una coscienza collettiva che non si rassegna al cinismo del “tanto è tutto inutile”.

Trump e il ritorno dell'assurdo

Se Quino fosse ancora tra noi, forse avrebbe regalato a Mafalda una nuova ossessione: Donald Trump.
In una delle strisce più famose, la piccola osserva le notizie e sbotta:

“Invece di fare tante conferenze per la pace, perché non provano a farla e basta?”

L’era Trump – con la sua retorica aggressiva, i tweet incendiari, il disprezzo per la verità e la scienza – avrebbe probabilmente fatto esplodere Mafalda di frustrazione.
Una vignetta immaginaria?
Mafalda davanti alla TV che mostra Trump, con un’espressione tra l’incredulo e lo sconsolato, dice:

“È questo il meglio che il mondo riesce a produrre? Siamo nei guai.”

Il populismo, la disinformazione e l’arroganza travestita da leadership sono esattamente ciò contro cui la bambina di Quino si è sempre ribellata: l’assurdità che si traveste da normalità.

Le guerre e la pace che non arriva mai

La guerra è un’altra costante delle vignette di Mafalda. In piena Guerra Fredda, il personaggio riflette spesso sul paradosso di un mondo in cui si parla tanto di pace mentre si costruiscono armi.

“Se uno non si sbriga a cambiare il mondo, poi è il mondo che cambia te.”

Nel 2025, con i conflitti in Ucraina, in Medio Oriente e le tensioni sempre più globali, questa riflessione è tragicamente attuale.
Mafalda ci ricorda che la guerra non è mai un destino, ma una scelta. E il silenzio, l’indifferenza, l’abitudine sono armi potenti quanto le bombe.

Una bambina che parla ancora a tutti

Mafalda non è solo una bambina: è una lente, un punto di vista, un piccolo grillo parlante che ci fa ridere e pensare. La sua forza è l’innocenza combinata a una lucidità spietata. È la voce che ci ricorda che il mondo non va bene, ma potrebbe andare meglio – se solo ci fermassimo ad ascoltare.

Oggi, più che mai, quella frase “Fermate il mondo – voglio scendere” non è un capriccio infantile. È il grido di chi non si rassegna.
E forse, se ascoltassimo Mafalda, non ci verrebbe più voglia di scendere… ma di cambiare direzione.

TikTok Shop sarà disponibile in Italia dal 31 marzo e consentirà di acquistare i prodotti pubblicizzati nei video e mostrati durante le dirette.L’azienda cinese ha comunicato che TikTok Shop sarà disponibile in Italia dal prossimo 31 marzo. Gli utenti potranno acquistare i prodotti mostrati durante i video e le dirette streaming. Ci sono cinque funzionalità specifiche (una in arrivo) che consentono agli influencer o direttamente alle aziende di pubblicizzare i prodotti. Il tessuto commerciale del nostro paese, con milioni di microaziende fatte di professionalità, tasse elevatissime che toccano con i contributi il 60% degli utili, burocrazia locale e nazionale, norme e tempi biblici per le autorizzazioni, come possono competere con chi senza alcuna certificazione o autorizzazione locale vende i prodotti che gli "influencer" promuovono? In un mondo senza regole vincono i più forti...

TikTok Shop utile per le PMI?

TikTok Shop sarà disponibile anche in Francia e Germania. I 22,8 milioni di utenti italiani avranno accesso al cosiddetto discovery e-commerce, ovvero all’esperienza di acquisto che combina divertimento, scoperta e shopping. Potranno di acquistare i prodotti mostrati da brand, venditori e creator locali direttamente nel feed Per Te. L’azienda cinese afferma che questa è una soluzione particolarmente vantaggiosa per le PMI, in quanto possono raggiungere facilmente migliaia o milioni di potenziali clienti.

TikTok Shop

Come funziona

In buona sostanza gli utenti potranno acquistare ciò che vedono nei video del feed "Per Te" o durante le dirette senza uscire da TikTok che tratterrà una percentuale dalla transazione. L'obiettivo è  rendere centrale l'interazione tra venditore e consumatore grazie a commenti, raccomandazioni in tempo reale e consigli durante le dirette. TikTok non ha reso noto quante sono le aziende italiane potenzialmente interessate dalla nuova funzione - nel mondo i venditori presenti sulla piattaforma sono 15 milioni - ma la commissione che andrà in tasca a ByteDance, assicurano, sono definite dai marchi e dai venditori.

TikTok Shop offre quattro funzionalità per pubblicizzare i prodotti:

  • Shoppable video: video con funzionalità di acquisto integrate nel feed Per Te. Gli utenti potranno cliccare sul link del prodotto per accedere direttamente alla pagina dettagli e completare l’acquisto senza uscire da TikTok
  • Live shopping: venditori, brand e creator possono integrare i prodotti all’interno di una sessione in diretta streaming. Gli host mostrano i propri prodotti, rispondono alle domande e offrono dimostrazioni in tempo reale
  • Vetrina prodotti: ogni venditore può allestire una vetrina personalizzata sul proprio profilo con offerte, elenchi prodotto e gestione ordini centralizzata
  • Video Shopping Ads: i venditori possono ampliare la propria visibilità tramite formati pubblicitari nativi pensati per stimolare la scoperta dei prodotti

È in arrivo anche una quinta funzionalità, denominata Scheda negozio, che consentirà ai clienti di cercare prodotti specifici, scoprire le promozioni in corso, gestire i propri ordini e accedere a suggerimenti personalizzati (liste e contenuti interattivi con funzionalità di acquisto integrata).

Hedy Lamarr, il genio scientifico eclissato dalla bellezza

L'attrice Hedy Lamarr è morta 25 anni fa. Brillante inventrice, progettò un sistema per la codifica delle trasmissioni dati, utilizzato in particolare nelle telecomunicazioni. Ma per decenni la storia ha ricordato solo la star di Hollywood.

Il 10 giugno 1941, insieme al suo amico, compositore e pianista George Antheil, Hedy Lamarr depositò presso l' ufficio brevetti e marchi degli Stati Uniti il ​​brevetto intitolato "Secret Communication System "  . Di che invenzione si tratta? Olga Paris-Romaskevich 1 Questo brevetto fu depositato nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale, quando era fondamentale proteggere le comunicazioni, ad esempio quelle di una nave che attaccava un sottomarino. Il nemico potrebbe infatti intercettare il segnale inviato dal trasmettitore radio della nave a un siluro dotato di ricevitore radio. Nel loro brevetto, Antheil e Lamarr propongono di utilizzare quello che oggi viene chiamato "spettro diffuso a salto di frequenza". Durante una trasmissione, si passa da una frequenza radio all'altra, seguendo un ordine casuale e non periodico, noto in anticipo al trasmettitore e al ricevitore, come un codice segreto. Ciò consente di trasmettere istruzioni senza che il nemico possa intercettarle o bloccarle.
 Questa foto è probabilmente l'unica che mostra Hedy Lamarr (al centro) e, alla sua sinistra, il suo amico pianista George Antheil.

Isabelle Vauglin 2  Ciò che è affascinante è che la loro soluzione è tanto poetica quanto ingegnosa: i due inventori si sono ispirati al funzionamento dei pianoforti meccanici. In questi strumenti, i fori nelle schede perforate (come quelli dei primi computer) fungono da controlli, controllando quali tasti devono essere suonati. L'ordine di variazione della frequenza da loro proposto nel brevetto non è altro che un brano musicale suonato da un pianoforte! Propongono inoltre di utilizzare 88 frequenze diverse, che corrispondono al numero dei tasti di un pianoforte. Nel loro brevetto si menzionava addirittura l'idea di utilizzare un meccanismo ispirato al pianoforte meccanico per controllare il cambio di frequenza.

Oggigiorno , lo spettro diffuso mediante salto di frequenza viene utilizzato in molte tecnologie di comunicazione, come Bluetooth e GPS. Hedy Lamarr dovrebbe essere ricordata come la pioniera delle telecomunicazioni moderne?
OP-R.  È importante non cadere in due trappole. Da un lato, rendere invisibile il contributo di Antheil e Lamarr, che non hanno ricevuto un'educazione scientifica formale, ma hanno comunque dato un contributo significativo alla storia delle idee. Ma non dobbiamo dare per scontato che siano stati i primi a proporre il salto di frequenza, un'idea la cui storia sembra complicata da ricostruire. In ogni caso, brevetti simili erano già stati depositati negli anni '20 e '30, in particolare da un ingegnere olandese, Willem Broertjes, nel 1929. È probabile che Hedy Lamarr sia venuta a conoscenza di questi concetti mentre si trovava in Austria, sposata con Friedrich Mandl, un trafficante d'armi con stretti legami con il regime nazista.
 

Penso che sia Hedy Lamarr che George Antheil meritino il loro giusto posto nella storia della scienza. Portano con sé il messaggio che la scienza appartiene a tutti. Hedy Lamarr non era una scienziata professionista, ma era una cittadina impegnata nella lotta al fascismo e diede un contributo concreto al campo delle telecomunicazioni.

Sebbene Hedy Lamarr non possa essere definita una pioniera assoluta delle comunicazioni moderne, il suo ruolo nello sviluppo di queste tecniche resta cruciale.

Questo è davvero notevole! Era completamente autodidatta. La sua capacità di comprendere, memorizzare e riutilizzare queste idee è impressionante. E anche se non può essere definita una pioniera assoluta delle comunicazioni moderne, il suo ruolo nello sviluppo di queste tecniche resta cruciale. Con il brevetto da lei co-firmato nel 1941, lasciò chiaramente il segno nella storia delle telecomunicazioni.

Tuttavia, il suo brevetto non venne riconosciuto fino a quasi mezzo secolo dopo , nel 1997, quando ricevette i premi Pioneer ed Electric Frontier Foundation , nonché il Bulbie Gnass Spirit of Achievement Award, spesso chiamato "l'Oscar degli inventori  ". Era vittima della sua immagine di bellezza  ? OP-R.  La sua intelligenza è stata spesso percepita come extra, questo è sicuro! Per il suo primo marito, Friedrich Mandl, era solo una bella bambola. Nel 1937, Lamarr fuggì da questo matrimonio. Poi, negli Stati Uniti, fu un produttore cinematografico, Louis Mayer, a " venderla" come " la donna più bella del mondo  ". Gli uomini che la circondavano riconoscevano solo la sua bellezza, ma non la sua intelligenza, tranne George Antheil! Mentre depositavano il brevetto, che aveva lo scopo di aiutare gli Alleati, alla Lamarr fu chiesto di visitare il paese abbracciando gli uomini contrari all'acquisto di obbligazioni di guerra... Cosa che fece. Faceva affidamento sulla sua bellezza per sopravvivere. Nonostante ciò, non smise mai di sognare invenzioni.
IV  Assolutamente. E tutti la incatenarono in questa camicia di forza. Aveva una vera curiosità scientifica, una sete di capire come funzionano le cose. Tuttavia la società sostenne solo la sua carriera di attrice, mai le sue ambizioni scientifiche. Suo padre ha sicuramente coltivato la sua passione quando era bambina, incoraggiandola a fare domande e spiegandole come funzionavano i meccanismi, ma  alla fine i suoi genitori non l'hanno spinta a proseguire gli studi in questo campo. 

Fu vittima dell'effetto Matilda, il fenomeno dell'invisibilità delle scienziate a favore dei colleghi maschi?
IV  Sì, in un certo senso. Questo fenomeno è stato originariamente concettualizzato dal sociologo Robert K. Merton, che ha studiato la reputazione degli scienziati in base alla loro posizione nella struttura gerarchica in cui lavoravano. Scoprì che spesso i leader ricevevano riconoscimenti sproporzionati rispetto al loro effettivo contributo. Chiamò questo meccanismo sociale "effetto Matteo", riferendosi al seguente brano del Vangelo secondo Matteo: "  Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chiunque non ha sarà tolto anche quello che ha  " .

Successivamente, Margaret Rossiter riprese questo concetto per riferirsi alle donne scienziate il cui lavoro e le cui scoperte vengono minimizzati. Lo chiamò "Effetto Matilda" in omaggio a Matilda Joslyn Gage, un'attivista che si batté per il riconoscimento delle donne. La storia è piena di esempi edificanti: Lise Meitner, co-scopritrice della fissione nucleare con Otto Hahn, ma dimenticata dal premio Nobel nel 1945; Rosalind Franklin, la cui fotografia che rivelava la struttura a doppia elica del DNA fu rubata da Watson e Crick, che nel 1962 ricevettero il premio Nobel senza di lei; o Jocelyn Bell, il cui direttore di tesi si rifiutò di consentirle di includere la scoperta della prima pulsar nella sua tesi, e che invece ricevette il premio Nobel nel 1974...

OP-R.  E questo effetto purtroppo non è scomparso. Ciò è ancora evidente oggi a tutti i livelli di ricerca.

Quali azioni state intraprendendo per cambiare la situazione?
IV  Per incoraggiare le donne a intraprendere carriere scientifiche, Femmes & Sciences organizza numerose attività, in particolare la mostra “  Science taille XX elles ” (in collaborazione con il CNRS) e, ogni anno, le giornate “Le scienze, un mestiere da donne!”. ", riservati alle donne e che mirano a mostrare loro,  attraverso modelli femminili, che tutte le professioni scientifiche sono miste e a smantellare gli stereotipi di genere. Per la nona edizione, che si terrà l'11 marzo presso l'École Normale Supérieure de Lyon, abbiamo già ricevuto 870 richieste di partecipazione. Ciò dimostra quanto questa iniziativa risponda a un'esigenza.
 Offriamo anche un programma di tutoraggio, perché le donne hanno bisogno di essere aiutate e incoraggiate a prendere il loro posto in ambienti che rimangono fortemente maschili. È importante trasmettere un messaggio di speranza: nonostante il sessismo e il patriarcato che persistono negli ambienti scientifici, le donne possono trovare alleati e andare avanti.

OP-R.  La matematica fondamentale è una delle discipline meno femminilizzate nelle università francesi. Insieme ai colleghi abbiamo creato il “12 maggio ” ,  una giornata internazionale che celebra le donne nella matematica. Ho anche partecipato all'organizzazione di tirocini ("Les Cigales") per ragazze delle scuole superiori, con l'obiettivo di introdurle al processo di ricerca in matematica in un'atmosfera amichevole e non promiscua. Ho anche co-scritto il libro Matheuses (il link è esterno) (CNRS Éditions), che spiega i meccanismi di esclusione delle ragazze e delle donne nella scienza e in particolare nella matematica.

La storia umana sembra essere intrappolata in un ciclo inquietante di violenza, giustificazioni ideologiche e distruzione. L’eco del genocidio descritto nel libro di Giosuè, con la distruzione totale di Gerico e il suo popolo, risuona tragicamente nei giorni nostri, osservando la devastazione di Gaza. Le analogie tra questi due episodi, distanti migliaia di anni, sollevano questioni morali e politiche difficili da ignorare.

Gerico: un genocidio "divinamente giustificato"

Secondo la narrazione biblica, il popolo d’Israele, guidato da Giosuè, distrusse Gerico su ordine diretto di Dio. Tutti gli abitanti furono uccisi – uomini, donne, bambini e persino animali – come atto di “purificazione” della Terra Promessa. Il genocidio non fu solo una conquista militare, ma un’azione simbolica, un atto che rivendicava un mandato divino per sterminare chiunque occupasse la terra destinata agli Israeliti.

Questo racconto, sebbene spesso interpretato come mito o allegoria religiosa, offre un modello inquietante di giustificazione della violenza: la convinzione che un popolo abbia diritto a un territorio e che la distruzione di chi vi risiede sia non solo legittima, ma necessaria.

Gaza: una nuova Gerico?

La situazione a Gaza riflette un’altra forma di “purificazione”, questa volta non dichiarata come divina, ma comunque sostenuta da narrative giustificatrici. Israele, con le sue operazioni militari ricorrenti, ha devastato la Striscia di Gaza, colpendo infrastrutture civili, scuole, ospedali e abitazioni. Il numero impressionante di vittime civili – inclusi bambini – e la distruzione sistematica della vita quotidiana sembrano non essere semplici danni collaterali, ma il risultato di una politica mirata a rendere Gaza ingovernabile e insostenibile per i suoi abitanti.

Come Gerico, anche Gaza è simbolo di un conflitto asimmetrico, in cui una parte dominante esercita un potere travolgente, mentre l’altra viene schiacciata sotto il peso della sua impotenza. Se nel racconto biblico i Cananei furono sterminati perché percepiti come ostacolo al “disegno divino”, oggi i Palestinesi di Gaza vengono trattati come una minaccia esistenziale che Israele ritiene di dover contenere o eliminare. Lasciamo perdere per un momento le forti responsabilità dei palestinesi che hanno eletto hamas rappresentanti del loro popolo (peraltro alla ricerca continua di sangue del proprio popolo da esibire al mondo per ottenere una solidarietà davvero impensabile)

Giustificazioni ideologiche e morali

La giustificazione della distruzione di Gerico era basata sull’idea che Dio avesse destinato quella terra a un popolo specifico. Questa narrativa di esclusività si riflette nel moderno discorso sionista che vede la terra di Israele come un’eredità storica e religiosa da reclamare a ogni costo. In entrambi i casi, le sofferenze dei popoli colpiti – i Cananei allora, i Palestinesi oggi – vengono ridotte a dettagli secondari, sacrificati sull’altare di un “destino superiore”.

Anche il linguaggio usato per giustificare le azioni moderne richiama quello antico: sicurezza nazionale, autodifesa e lotta contro il terrorismo sono oggi gli equivalenti delle motivazioni religiose di ieri. Entrambi i discorsi, però, ignorano sistematicamente la disumanizzazione delle vittime, trasformandole in nemici astratti privi di volto.

Impatto sulle vittime: ieri e oggi

Se i Cananei furono spazzati via senza alcuna possibilità di riscatto, i Palestinesi di Gaza subiscono un destino simile sotto forme diverse: blocco economico, limitazioni alla libertà di movimento, distruzione delle infrastrutture e bombardamenti periodici. La loro condizione viene giustificata come “inevitabile”, un prezzo da pagare per la sicurezza di Israele, proprio come la distruzione di Gerico fu dipinta come necessaria per garantire il futuro del popolo d’Israele.

In entrambi i casi, il messaggio è chiaro: chi si trova dalla parte sbagliata del potere è sacrificabile. Le loro vite, la loro cultura e il loro futuro possono essere cancellati senza rimorso.

Trump e la "Riviera del Medio Oriente": il paradosso finale

Come se la tragedia di Gaza non fosse già abbastanza surreale, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha recentemente proposto una “soluzione” al conflitto che sembra uscita direttamente da un reality show distopico: trasformare Gaza in una Riviera di lusso. Secondo questa visione, la Striscia di Gaza, ridotta in macerie e devastata da anni di conflitto, potrebbe diventare un paradiso turistico, pieno di hotel, casinò e resort di lusso.

Il piano ignora completamente la realtà: Gaza è una prigione a cielo aperto, dove le infrastrutture sono state sistematicamente distrutte e la popolazione vive in condizioni disumane. Proporre un modello di “Dubai sul Mediterraneo” senza affrontare le questioni fondamentali dell’occupazione, della giustizia e della sovranità palestinese è non solo irrealistico, ma offensivo.

La proposta di Trump è l’ennesima dimostrazione di come la sofferenza dei Palestinesi venga trattata con superficialità. Invece di lavorare per una soluzione giusta e sostenibile, si offre una fantasia capitalistica che ignora la storia, la cultura e la dignità di un popolo oppresso.

Lezione dalla storia o ripetizione della tragedia?

La narrazione biblica di Gerico dovrebbe essere vista come una lezione morale su cosa accade quando la violenza viene giustificata in nome di un’autorità superiore. Invece, sembra che sia stata presa come un modello operativo. L’idea che un popolo abbia il diritto di sterminare o opprimere un altro per motivi religiosi, storici o politici continua a essere una costante nella storia umana.

La distruzione di Gaza è l’esempio più recente di come questo schema si ripeta. Sebbene i tempi siano cambiati, la logica rimane sorprendentemente simile: la convinzione che un popolo abbia più diritto di un altro a vivere in una determinata terra e che la violenza possa essere legittimata per garantire questo diritto.

Conclusione

Le similitudini tra il genocidio di Gerico e la distruzione di Gaza non possono essere ignorate. Entrambi rappresentano un’erosione della dignità umana e una giustificazione della violenza sistematica. Ma forse c’è una differenza importante: oggi abbiamo la possibilità di imparare dalla storia, di riconoscere le dinamiche oppressive e di opporci a esse. Continuare a ignorare il ciclo di violenza significa non solo tradire le lezioni del passato, ma anche perpetuare un futuro di sofferenza e distruzione.

L’umanità deve decidere: vogliamo davvero ripetere la storia di Gerico o abbiamo la forza morale per scegliere un percorso diverso?

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